Sergio Romano, Corriere della Sera 16/7/2014, 16 luglio 2014
STORIA DI UNA FAMIGLIA EBREA NELLA GERMANIA NAZISTA
Ho appena letto l’ottimo e inquietante libro di Lion Feuchtwanger, I fratelli Oppermann, scritto e pubblicato nel 1933, e ora finalmente ripresentato in italiano grazie alla casa editrice Skira, dopo l’unica pubblicazione del 1946 nella Medusa Mondadori. Il volume — che narra le vicissitudini di una famiglia ebrea a Berlino — fu immediatamente pubblicato in una decina di lingue. La mia domanda è semplice. Quel grido di dolore di Feuchtwanger volto ad allertare l’opinione pubblica occidentale sulla mostruosità di quanto andava realmente accadendo nella Germania delle camicie brune (ancora ben poca cosa in confronto a ciò che avvenne negli anni successivi!) come mai non fu raccolto dai governi democratici occidentali?
Per indolenza, per sottovalutazione, per paura di ritorsioni, per timore
del pericolo comunista...
perché?
Clelia Ginetti
Cara Signora,
Il libro fu straordinariamente profetico. In Germania non esistevano ancora le leggi razziali, annunciate a Norimberga nel 1935, ma le persecuzioni erano cominciate sin dalla vittoria dei nazisti nelle elezioni del 1933. Non ci sorprende oggi che Primo Levi, nel Sistema periodico , abbia scritto: «Avevamo letto I Fratelli Oppermann di Feuchtwanger, importato nascostamente dalla Francia, e un Libro Bianco inglese, arrivato dalla Palestina, in cui si descrivevano le “atrocità naziste”; ne avevamo creduto una metà, ma bastava». Eppure è certamente vero che il libro, benché tradotto e pubblicato rapidamente in molti Paesi, non provocò una diffusa indignazione e non ebbe alcuna influenza sulla politica dei governi. Credo che le ragioni siano almeno tre.
In primo luogo, gli ebrei erano vittime, soprattutto nel periodo fra le due guerre, di un doppio pregiudizio. A sinistra erano visti come i principali esponenti di un capitalismo finanziario avido e spregiudicato, arricchito a spese della classe operaia. A destra erano considerati pericolosi rivoluzionari, anima e mente di tutte le rivoluzioni scoppiate in Europa, da quella bolscevica del 1917 a quelle rapidamente abortite della Germania e dell’Ungheria nell’immediato dopoguerra. Non giovava alla loro immagine, nei ceti moderati e borghesi, il fatto che la percentuale degli ebrei nei comitati centrali del partito comunista sovietico e di quello ungherese fosse molto elevata. Le due generalizzazioni erano altrettanto ingiuste, ma ebbero, negli anni difficili fra le due guerre, una notevole importanza.
In secondo luogo, società e governi, dopo l’avvento di Hitler al potere, erano preoccupati soprattutto dalla ricerca di soluzioni politiche che evitassero un nuovo conflitto mondiale. Finché durò quella speranza, nessun governo era disposto a minacciare sanzioni contro il governo tedesco.
Il terzo fattore, cara Signora, fu l’incredulità. Era difficile immaginare che un Paese colto e civile, ricco di straordinari successi nel mondo dell’industria e delle scienze, potesse macchiarsi di una tale colpa. Erano increduli soprattutto i Fratelli Oppermann. Avevano creato un’azienda fiorente, erano rispettati e onorati, amavano la loro patria e ne avevano dato la prova combattendo con onore nelle file dell’esercito imperiale durante la Grande guerra. Gustav, l’intellettuale della famiglia, voleva scrivere una biografia di Gotthold Ephraim Lessing, l’amico protestante di Moses Mendelssohn, il maggiore rappresentante dell’illuminismo ebraico (Haskalah) alla fine del Settecento. Come altri ebrei tedeschi gli Oppermann sperarono a lungo che l’incubo si sarebbe dissolto, che la Germania non li avrebbe traditi.