Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 16/7/2014, 16 luglio 2014
LA TESI SU SE STESSO DI SOLLECITO, UN USO IMPROPRIO DEI SOCIAL MEDIA
Ha fatto una tesi di laurea su se stesso Raffaele Sollecito, il giovane barese condannato in appello a 25 anni per aver ucciso Meredith Kercher insieme alla sua ex fidanzata Amanda Knox. Ha concentrato i suoi studi di ingegneria informatica e l’elaborato finale su quanto hanno scritto sul suo conto i social network concentrandosi sull’associazione del proprio nome con due parole: colpevole e innocente. È comprensibile che in vista della decisione della Corte di Cassazione che arriverà tra qualche mese, Sollecito voglia continuare a cercare una via d’uscita. Soprattutto tenendo conto che ha sempre dichiarato di essere vittima di un errore giudiziario. Ed è presumibile che tutto ciò, compresa la pubblicità che ha voluto dare alla discussione della tesi avvenuta ieri, abbia intenzione di utilizzarlo come strumento di pressione in vista del giudizio definitivo.
È una pratica lecita, sia pur discutibile. È quello che negli Stati Uniti si chiama Litigation Pr, con professionisti nel settore della comunicazione che cercano di orientare l’opinione pubblica esaltando gli aspetti positivi della personalità dell’imputato. Ritenendo così di poter influire sulle decisioni dei giudici. Sollecito ha messo in evidenza come «l’esame di uno dei motori di ricerca presenti su Internet abbia rilevato un aumento dell’interesse al processo per l’omicidio di Meredith Kercher in occasione della sentenza». E non appare casuale che abbia voluto sottolineare «il raddoppio dell’accostamento tra il mio nome e la parola innocente avvenuto quel giorno con una tendenza confermata nei giorni successivi».
Ormai Internet e tutto ciò che ne consegue ha invaso la nostra vita, scandisce le nostre giornate. Le trattative tra i partiti vengono condotte in diretta streaming , i politici comunicano con i cittadini via Twitter, fanno comizi sulle loro pagine Facebook, talvolta senza rendersi conto alimentando un dibattito che si basa su un livello di conoscenza dei fatti e di approfondimento spesso troppo basso. Ora un imputato tenta la stessa strada in vista dell’ultimo verdetto. Sarebbe bene però che la celebrazione dei processi rimanesse confinata nelle vere aule di giustizia, senza allargarsi a quelle virtuali. Dove non ci sono regole né garanzie e la confusione rischia di essere l’unico risultato.