Gianni Mura, la Repubblica 16/7/2014, 16 luglio 2014
IL VOLTO DI NIBALI
L’Albergo dell’Astana, in periferia, sarebbe giudicato inadatto da una media squadra di calcio della C2 italiana, ma i ciclisti del Tour sono meno schizzinosi. Non c’è un salone abbastanza grande per contenere la massa di giornalisti, ovviamente non solo italiani, che vogliono ascoltare o filmare la conferenza-stampa di Nibali. E così si svolge sotto il sole, alle 14.30, in uno spiazzo ghiaioso. Nella calda mattinata Nibali era uscito per una sgambata di una sessantina di chilometri. Sereno come al solito. Parlo, nell’attesa, con Alessandro Vanotti, il bergamasco che da otto anni in tutte le trasferte divide la stanza con Nibali. «Una delle sue doti, importante per recuperare, è che dorme come un sasso. Lunedì è arrivato in albergo alle nove di sera. Fare la doccia, cambiarsi, massaggio, cena, siamo saliti all’una, un po’ più tardi del solito. Il tempo di dirsi buonanotte e già dormiva». Vanotti con questo Tour è alla diciassettesima esperienza nelle grandi corse a tappe. Si sente tranquillo per il suo capitano? «Tranquilli non si è mai fino all’ultimo metro. Fin qui ha funzionato tutto bene. Vincenzo c’è, la squadra anche. Ogni mattina sui tablet diamo un’occhiata alle prime pagine dei giornali italiani e vediamo che l’interesse è in aumento». Come quello del ct Davide Cassani. Arrivato ieri pomeriggio, si tratterrà un paio di giorni. Sorpreso da Nibali? «No, sapevo che si era preparato bene e che aveva una squadra forte a disposizione. Fin qui, impeccabili lui e la squadra. Da domani (oggi per chi legge: ndr) la corsa è tutta sulle loro spalle. Le cadute di Froome e Contador hanno aperto spazi insperati per corridori che, alla vigilia, avrebbero firmato per finire tra i primi dieci. Quello che Nibali deve temere è una fuga da lontano. Dopo le Alpi la situazione sarà più chiara e più facile da gestire. Vincenzo è il più forte, ma non basta. Al Tour non ci si può distrarre un attimo. L’enorme vantaggio di Nibali è che tutto gli passa sopra come l’acqua sui sassi. Mai visto uno così bravo a staccare la spina. Tanti si portano in camera le tensioni, le paure, i cattivi pensieri. Lui no. Per lui, una volta giù di sella, la vigilia del tappone del Tour è come la vigilia del GP di Larciano».
Concetto che viene ribadito da Nibali, davanti a una selva di microfoni: «Sono concentrato al massimo in corsa, rilassato fuori corsa. Di attenzione che diventa tensione ne abbiamo spesa tanta. Sempre corsa tirata su strade strette, tanta pioggia e tante cadute. Dopo dieci giorni così, senza una sola tappa di trasferimento, il riposo è una manna per me e per tutto il gruppo».
Cosa risponde a chi dice che il Tour è già finito?
«Che non è vero. Che solo chi non ha molta pratica di ciclismo può pensarlo. Qualcuno mi guarda come avessi la colpa di non essere caduto anch’io. Non sono certo felice di non vedere più in gruppo Froome e Alberto, perché i rivali forti fanno onore a chi vince. Io sono venuto al Tour per vincerlo e credo di avere dimostrato quanto seriamente mi fossi preparato. Sarebbe un gravissimo errore sottovalutare la concorrenza, forse l’ho fatto una volta con Horner alla Vuelta e ci ho lasciato le penne. Porte va molto forte in salita: al Delfinato quando s’è messo a tirare siamo rimasti in cinque: lui, Froome, Alberto, Talansky e io. In più, Porte va fortissimo a cronometro. Valverde in salita va forte. E poi cosa sappiamo dei limiti di Bardet, o di altri giovani? La classifica mi vede avvantaggiato, ma è un vantaggio che devo aumentare. Quello che ho non mi mette del tutto a riparo dagli imprevisti. So per esperienza che quando tutto sembra facile comincia il difficile».
Ha paura di qualcosa? «Per me la paura è solo un brivido, quando vedi cadere qualcuno di fianco a te e pensi che poteva toccare a te, ma non è uno stato d’animo. Chi ha paura di cadere, dico in generale, è meglio che faccia un altro mestiere. E ve lo garantisce uno che è caduto tante volte e qualche volta ci ha rimesso una vittoria di prestigio: al Giro nella tappa di Montalcino, al Lombardia, al Mondiale di Firenze. Il ciclismo si fa su due ruote e il rischio ci accompagna». Il 18 luglio, gli dice un collega italiano, sono cent’anni che è nato Gino Bartali. E il 27 luglio, se tutto va bene, ci sarà un italiano in giallo sedici anni dopo Pantani. Che ne dice? «Bartali, Coppi sono i grandissimi del ciclismo, quelli che lo hanno reso popolare, amato. A me piace andare indietro nel tempo, Hinault lo guardo come un’icona. Mi piace conoscere le storie, Bobet e Koblet, Anquetil e Gimondi, quante volte me ne ha parlato mio padre. Pantani è diverso, Pantani l’ho visto correre, noi ragazzini saltavamo sulle sedie appena attaccava in salita. A una premiazione ho conosciuto sua mamma, mi ha consegnato una maglia gialla di Marco, del Tour ’98. Le ho fatto una promessa: se le cose andranno bene, andrò a Cesenatico a trovare lei e Marco e ricambierò con una mia maglia gialla».
Vada come vada, a Parigi arriveranno l’ultimo giorno, in treno, Giovanna, la madre di Pantani, la moglie Rachele, accompagnata dalla moglie di Vanotti. Ancora in forse papà Salvatore. Arrivi e partenze. Ieri mattina Contador è volato a Madrid, dove si sottoporrà ad altri esami radiologici. Per quel poco che se ne sa, la frattura alla tibia potrebbe essere più complicata da sistemare. E dire che Contador ha continuato a pedalare per una quindicina di chilometri, a prezzo di chissà quali dolori. La ricostruzione della caduta: stava cercando nelle tasche posteriori una barretta energetica, su un piccolo avvallamento gli si è girato il manubrio. Un altro grande nome ha lasciato ieri il Tour, ma senza cadute. Fabian Cancellara ha deciso che era meglio prepararsi per il Mondiale su strada che continuare a soffrire qui alla ricerca di una vittoria che non è arrivata, né sarebbe arrivata sulle montagne.