Volker Schlondorff, Corriere della Sera 16/7/2014, 16 luglio 2014
LA SAGGIA AMMINISTRATRICE FAMILIARE CHE CONTINUA A NAVIGARE A VISTA
«Squadra della mamma», così i berlinesi hanno chiamato la squadra campione del mondo. Questo appellativo scherzoso la dice lunga sul nostro rapporto con la cancelliera. Benché amata e maternamente affettuosa, non è «madre della nazione» e nemmeno «madre coraggio», ma si aggiudica il tenero diminutivo di «mammina», con il quale anch’io chiamavo mia madre da piccolo.
La discrepanza tra questo diminutivo e il potere reale che detiene è il vero mistero di questa signora, per altri versi non troppo enigmatica. In politica ha iniziato quasi come tappezzeria, come la fanciulla di Kohl, che colpiva solo per la sua naturalezza, tanto nel presentarsi quanto nel parlare. Finora ha mantenuto inalterate entrambe le qualità. Il suo aspetto esteriore ricorda più la Giulietta Masina de La Strada che la Lady di ferro Margaret Thatcher. Il suo linguaggio è quello di una ragionevole imprenditrice familiare. Entrambi gli aspetti la distinguono da tutti gli altri politici. Per quanto il potere e l’impatto mediatico abbiano potuto influenzarla, è sempre riuscita a conservare il suo linguaggio, la sua personalità e la sua giovialità. O è solo apparenza? Che dietro questa simpatia e cordialità, dietro il suo stare con i piedi per terra e il suo tailleur pantaloni un po’ goffo si nasconda un’indole machiavellica?
La domanda è legittima ma mal posta. Perché, per essere machiavellica, la cancelliera dovrebbe avere un fine da raggiungere, in un modo o nell’altro, con qualunque mezzo. Ma un tale fine o quantomeno una visione non le vengono riconosciuti. Non che io glielo rimproveri, perché le personalità di potere che hanno visioni ci risultano per motivi storici quantomeno sospette. Ma può la Germania, con il potere che detiene in Europa, rinunciare a una visione o per lo meno a un’idea di mondo?
Il pragmatismo è stato una virtù nel corso della riunificazione. Dal momento che non si disponeva di alcun modello per una tale impresa, giorno dopo giorno è stato necessario improvvisare, verificare, adeguarsi, cercando il consenso di due gruppi di popolazione molto diversi. Anche nel corso della crisi economica che ne è seguita ed è stata tanto dura da far guadagnare alla Germania l’appellativo di «malato d’Europa», le riforme pragmatiche di Schröder, che la Merkel ha proseguito, hanno posto le basi dell’odierno successo economico. Si può ben dire che l’atteggiamento prudente o addirittura esitante della cancelliera e del ministro delle Finanze Schäuble è stato quello giusto per gestire la grave crisi finanziaria. Come Jogi Löw conduce la sua squadra, lei conduce noi tedeschi come un team, mietendo pazientemente consensi, mai contestata o contestabile, mantenendo davanti agli occhi un unico obiettivo: l’efficienza. Ma l’efficienza senza fantasia è spossante, sfugge alla vita. E oggi possiamo dire che il campione del mondo sia nudo come il re della favola.
Quale idea d’Europa ha questo re, questo monocolo tra i ciechi? Dove inizia e dove termina l’Europa, a Est o a Sud? Quanto deve rimanere etnicamente «europea»? Non deve accogliere, come gli Stati Uniti, milioni di africani, arabi, asiatici per continuare ad esistere? Quale altra, nuova identità avrebbe un’Europa multietnica? Come dovrebbe avvenire l’integrazione economica tra il Nord, il Sud e l’Est dell’Europa? Esiste un abbozzo, l’idea di una rappresentazione di come la Germania e la cancelliera al suo vertice vedono il futuro? E quale ruolo vogliamo giocare noi tedeschi nel mondo? Ai tempi di Bismarck la Germania riunificata era potentissima. Il cancelliere del Reich aveva una visione storicamente fondata e agiva diplomaticamente per non schiacciare con il nostro potere nessuno degli Stati confinanti. Questo non fu apprezzato dai tedeschi, che lo sottovalutavano perché volevano mostrare al mondo la loro potenza. Il risultato fu la Prima guerra mondiale. Ancora una volta, alla fine degli anni Trenta, la Germania tornò ad essere economicamente potente in Europa. Hitler sfruttò la fame di grandezza piccolo-borghese e diede inizio alla Seconda guerra mondiale. Ora siamo per la terza volta giganti economici — e più stupidamente anche campioni del mondo — e nella considerazione che ci viene tributata dall’esterno questo non è poi di grande aiuto. Né la cancelliera né il popolo, questa volta, perseguono l’egemonia, ma il pragmatismo e la politica del navigare a vista basteranno? Chi, se non la cancelliera, dovrebbe sviluppare una prospettiva nel lungo termine? E se effettivamente non si dovesse ricandidare un’altra volta, chi dovrebbe governare, senza alcun tipo di eredità politica da lei lasciata?
Sono sicuro che Angela Merkel si pone questa domanda. Ma deve ritirarsi in un convento per cercare la risposta? Nessun intellettuale, nessuno scrittore, nessuno storico, nessun filosofo (forse la repubblica europea di Habermas?) nessun politico sembra avere un accenno di visione. Non c’è alcun dibatto pubblico. La cancelliera è sola e si rifugia nel ruolo della «mammina» vicina al popolo, che dà un bacio al suo figliolo sudato. Sembra sinceramente felice, come se provasse sollievo, ma forse anche il desiderio che in politica tutto potesse essere così chiaro e facile come sul campo di calcio. Mi congratulo di cuore con lei e il suo team, ma il mio è un cuore inquieto, perché credo che il suo campionato sia ancora da vincere. E dov’è la squadra intellettuale che la potrà aiutare?
(traduzione di Nicoletta Boero)