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 2014  luglio 16 Mercoledì calendario

LA POSTA IN GIOCO PER HAMAS

Hamas dice “no” e lanci e bombardamenti riprendono. La risposta di Ezzedin al Qassam, è stata l’ala militare del movimento islamista palestinese a rifiutare la proposta egiziana di cessate il fuoco, non sorprende. Nonostante il duro prezzo che la popolazione di Gaza sta pagando. Al di là delle condizioni poste per accettare il cessate il fuoco, – dalla fine dei raid israeliani a quella del blocco di Gaza, dall’apertura del valico di Rafah alla liberazione dei prigionieri rilasciati dopo lo scambio con il soldato Shalit, nuovamente arrestati in queste settimane, richieste che Israele non avrebbe interamente accettato –, la realtà è che il gruppo fondato dallo sceicco Yassin ritiene di trasformare in opportunità il conflitto in corso.
Inizialmente Hamas non ha voluto lo scontro, lo ha subito. Il drammatico assassinio dei tre ragazzi israeliani che ha innescato la tensione non è stato il frutto di una scelta dell’organizzazione. Il triplice, brutale, omicidio del 12 giugno è stato opera di simpatizzanti jihadisti di un clan tribale della zona di Hebron, decisi a perseguire i propri obiettivi politici. Ma una volta che la violenza si è imposta sul campo, con la destra estrema presente nel governo Netanyahu decisa a regolare i conti una volta per tutte con la “banda di Gaza”, Hamas non si è tirata indietro. Non poteva farlo. Per principio e ideologia. E perché ha visto nel conflitto, inevitabilmente impari sul piano militare nonostante i sofisticati razzi lanciati nei cieli israeliani, la possibilità di trasformarlo in vittoria politica. Nel momento in cui Hamas dice che può “resistere mesi” scommette, ancora una volta, su un simile esito.
Solo qualche mese fa Hamas era all’angolo. Sempre più isolato dopo la caduta di Morsi e la rottura con la Siria di Assad e i suoi protettori iraniani, è stato costretto a un accordo con l’Anp. Chiusi i tunnel che partivano dall’Egitto e alimentavano Gaza, di viveri, medicinali, armi; senza stipendi gli oltre sessantamila dipendenti pubblici della Striscia; una popolazione stremata da una crisi tanto più pesante se paragonata al relativo
benessere economico vissuto in questi anni dai palestinesi della Cisgiordania che hanno accettato il compromesso con Israele. Scenario che imponeva un’intesa con Abu Mazen. Nella speranza per il movimento, una volta entrato a far parte del governo di unità nazionale, di vincere le elezioni che si dovrebbero tenere entro fine anno. Ostile alla ritrovata intesa, l’ala militare aveva dato il via libera all’accordo solo a condizione di poter rispondere a eventuali attacchi di Israele.
I fatti di Hebron hanno travolto quest’agenda. E riconsegnato centralità a Ezzedin al Qassam. Così, una volta esplosa la crisi, Hamas ha ritenuto che un conflitto, anche con forti perdite in vite umane e dotazioni militari, potesse essere sopportato. Perché ne sarebbero venuti in seguito maggiori benefici. Per questo, dopo aver tenuto un profilo relativamente basso durante il duro intervento degli israeliani, a caccia degli assassini dei ragazzi, nell’area di Hebron ha colto l’occasione per passare all’offensiva. L’attacco di droni israeliani alla Striscia il 7 luglio è stato considerato un atto di aggressione che rompeva il cessate il fuoco del 2012. E l’ala militare prendeva la sua rivincita su quella politica.
Impugnando le armi, Hamas si è riproposto come alfiere della “resistenza all’occupazione”. Anche davanti alla popolazione della Cisgiordania. Mossa che, secondo i duri e puri del movimento, dovrebbe mettere in crisi l’Anp e la sua ambigua politica, consegnando a Hamas una nuova egemonia e la futura vittoria elettorale. Del resto, la costante azione di delegittimazione da parte israeliana di Abu Mazen, al quale non vengono fatte concessioni, rende non impossibile un simile esito.
Hamas conta sul fatto che una eventuale operazione di terra israeliana duri poche settimane. Troppo costoso sul piano delle perdite umane e poco rilevante strategicamente, dopo l’abbandono di Gaza da parte di Sharon, tornarvi per restarvi più a lungo. Una volta usciti i tank con la stella di David, Hamas potrà dire di aver vinto. Preparandosi a riscuotere la cambiale elettorale. Finirà così? Molto dipenderà dalle scelte di Netanyahu.