M. Antonietta Calabrò, Corriere della Sera 16/7/2014, 16 luglio 2014
D’ALIMONTE: IL NUOVO SENATO HA TROPPA INFLUENZA
[Roberto D’Alimonte] –
ROMA — Roberto D’Alimonte, lo «zio dell’Italicum» come ama chiamarsi («Non il padre»), politologo e professore della Luiss, sta insegnando all’Università di Stanford, California. E da Palo Alto dà il suo giudizio sul processo delle riforme istituzionali italiane, arrivate ad un decisivo giro di boa. «Sono soddisfatto» dice. Ma ha due importanti perplessità: «L’eccessivo potere d’influenza del nuovo Senato che potrebbe essere determinante anche in materia di bilancio; e il premio di maggioranza troppo basso, che renderà difficile governare». «Non vorrei che il bicameralismo perfetto che era stato cacciato dalla porta, possa rientrare dalla finestra», aggiunge.
Perché è soddisfatto?
«Perché si elimina quell’anomalia solo italiana per cui il nostro Senato attualmente è l’unico caso su 28 Paesi dell’Unione a incarnare il bicameralismo perfetto. Questa riforma ci allinea all’Europa. E poi perché il testo di riforma in discussione oggi in Senato è migliore del primo».
Quali sono i miglioramenti?
«Il nuovo Senato sarà con certezza il Senato delle Regioni (mentre nella primitiva bozza Renzi era senza un focus preciso)».
Solo questo?
«No. È saltata la parità nel numero di seggi da assegnare alle Regioni (prima la Valle d’Aosta aveva gli stessi seggi della Lombardia): adesso sono assegnati in modo proporzionale alla popolazione. C’è una quota fissa di due seggi che saranno assegnati a un sindaco e a un consigliere regionale. Gli altri saranno assegnati in base alla popolazione».
Va tutto bene allora?
«Ho un’importante perplessità»
Quale?
«Si è allargato troppo il perimetro legislativo all’interno del quale il Senato può avere un’influenza decisiva, soprattutto in materia di leggi di bilancio. Infatti la Camera dei deputati può avere l’ultima parola su queste leggi solo se vota i provvedimenti «bocciati» o modificati dal Senato con una maggioranza rafforzata, cioè la maggioranza assoluta dei deputati. Questo meccanismo assegna un potere di influenza eccessivo al nuovo Senato, che diventa quasi un potere di veto. Non vorrei che il bicameralismo perfetto, che era stato cacciato dalla porta, rientri dalla finestra. E poi questo problema è aggravato da...».
Da cosa?
«Dal combinato disposto, come dicono i giuristi, della riforma costituzionale con la riforma in corso del sistema elettorale, cioè con l’approvazione dell’Italicum. Così com’è congegnato il premio di maggioranza adesso (52 per cento per chi raggiunge il 37 per cento dei voti), il partito o la coalizione vincente potrebbe avere solo 321 deputati. Ma la maggioranza assoluta dei voti, richiesta per bypassare il possibile veto del futuro Senato, è di 316 deputati. Questo vuol dire che la coalizione di governo, qualunque essa sia, può contare solo su 5 voti di scarto: troppo pochi per assicurare la governabilità»
Che fare allora?
«A suo tempo ho insistito con Denis Verdini e con il ministro Boschi che il premio deve garantire a chi vince il 54-55% dei seggi alla Camera. A questo scopo, è bene alzare l’asticella per far scattare il premio dall’attuale 37% dei voti al 40%. Con un premio del 15% questo garantirebbe a chi governa una maggioranza più robusta, a prova di defezioni. La stessa maggioranza — a maggior ragione — dovrebbe essere assegnata a chi vince nell’eventuale ballottaggio se nessuno arrivasse al 40% dei voti al primo turno. Solo così si può assicurare oggi una effettiva governabilità. Soprattutto se si vuole mantenere forte il potere di influenza del Senato».