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 2014  luglio 16 Mercoledì calendario

ORARIO ESTIVO SERVIZIO RIDOTTO


Come ogni anno la Biblioteca Nazionale di Roma adotta a partire da metà luglio l’orario estivo: un’apertura ridotta che diventa chiusura completa nelle due settimane centrali di agosto. Se l’identità di un Paese si vede anche dai dettagli, questo piccolo fatto ci dice molto su ciò che siamo, sulle nostre peculiarità rispetto ad altre nazioni europee (la British Library e la Biblioteca Nacional de España, ad esempio, chiudono solo un giorno in agosto). Conferma come in tanti campi della pubblica amministrazione (dalle biblioteche alle scuole) chi vi lavora anteponga spesso le sue esigenze a quelle degli utenti, incurante di ogni critica. Soprattutto, però, l’orario estivo della Biblioteca Nazionale ci dice come una parte del Paese viva ancora dentro rappresentazioni collettive e schemi obsoleti. Quell’orario ripropone l’idea di un «lungo agosto» che inizia a metà luglio e finisce a settembre inoltrato (quanti non si sono sentiti rispondere in questi giorni: «Ne riparliamo a settembre»?). Si tratta di un’idea che corrisponde a un’Italia che non c’è più, quella degli anni 60 e 70, che regolava i suoi tempi su quella sorta di solstizio d’estate artificiale rappresentato dalla chiusura delle grandi fabbriche, con i telegiornali che mostravano le automobili degli operai emigrati al Nord in fila per tornare ai loro paesi per le ferie.
Oggi, nell’epoca del «tempo reale», quella lunga pausa nella vita collettiva non possiamo probabilmente più permettercela; del resto, neppure corrisponde ormai alle esigenze di milioni di italiani. Nella pervicace sopravvivenza dell’idea (e della pratica) del lungo agosto italiano c’è però la forza inerziale di rappresentazioni e comportamenti collettivi; e c’è anche una sorta di passiva inclinazione a uniformarsi al tradizionale stereotipo degli italiani come popolo mediterraneo, caratterizzato da una naturale pigrizia e dunque sempre disposto a far vacanza. Notava Benedetto Croce, nella sua Storia d’Italia , che «La proverbiale accusa del “dolce far niente” degli Italiani è falsa per ogni età della loro storia; e dovuta a vaghe impressioni e fantasiose interpretazioni». In effetti, non si vede come quella accusa e quello stereotipo possano adattarsi ai milioni di italiani emigrati nelle Americhe e, in epoca più vicina a noi, nel Nord Italia o in Germania. O come possano essere seriamente accusati di indolenza i tanti protagonisti del mondo del lavoro e delle professioni in un Paese che mediamente sta in fabbrica e in ufficio più degli altri.
Sennonché certi stereotipi sul carattere nazionale — sempre inevitabilmente schematici, superficiali e in buona sostanza «falsi» — finiscono per produrre effetti reali diventando dunque «veri», se vengono comunque condivisi contribuendo così a orientare i comportamenti collettivi. Proprio per questo, per contrastare una vecchia ma resistente immagine dell’Italia e degli italiani (che — appunto — non sarà vera oggettivamente ma un po’, soggettivamente, ha finito con l’esserlo), non sarebbe male se gli apparati burocratici dai quali dipende l’approvazione di tanti decreti attuativi, e con essi l’entrata in vigore di molte leggi, riducessero drasticamente le loro ferie, come li esortava a fare su questo giornale Sergio Rizzo (e come ha annunciato di voler fare per quanto lo riguarda il presidente del Consiglio). E ancora meglio sarebbe se l’esempio si propagasse nelle varie branche dell’amministrazione pubblica, finalmente disposte ad abbandonare i loro vecchi orari «mediterranei».