Giorgio Santilli, Il Sole 24 Ore 16/7/2014, 16 luglio 2014
ALMENO 20 MILIARDI DA INCASSARE SUBITO
Il governo ha almeno tre strategie, non necessariamente alternative, per capitalizzare in Italia l’apertura che arriva da Jean-Claude Juncker sul piano di investimento europeo da 300 miliardi nei prossimi tre anni. La prima proposta riguarda le grandi opere comprese nei quattro corridoi "italiani" della rete «Ten-T» e può valere almeno 10 miliardi di lavori dei 62,9 in fase di esecuzione. La seconda riguarda i cofinanziamenti nazionali ai fondi strutturali Ue 2007-2013 che per il solo biennio 2014-2015 possono valere tra i 7 e i 12 miliardi. Almeno una ventina di miliardi in tutto, per cominciare.
La terza strategia passa pure per Bruxelles ma è in fase di impostazione oggi in Italia. Ne ha parlato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, nell’incontro di venerdì scorso con il collega alle Infrastrutture, Maurizio Lupi: costruire un quadro legislativo, amministrativo, fiscale e regolatorio favorevole all’investimento di capitali privati nella realizzazione di infrastrutture. Si tratta di mettere a regime strumenti già esistenti come defiscalizzazioni, project bond e crediti di imposta. E di crearne di nuovi. Un capitolo importante è quello autostradale e qui c’è la partita con Bruxelles perché Lupi, per rilanciare e accelerare gli investimenti delle concessionarie, sta provando a spuntare un atteggiamento flessibile della commissione sulle proroghe delle concessioni e sulle gare. La tratattiva nasce dalla constatazione che finora le gare fatte non hanno funzionato e che si possa ragionare su alternative che comunque non ledano i principi della concorrenza.
Le prime due sono proposte che in passato sono state già ipotizzate, più o meno formalmente, dall’Italia a Bruxelles e che finora sono state bloccate dalla politica di rigore europeo. Ma che potrebbero godere ora di nuovi spiragli aperti ieri dal neopresidente della commissione europea. Da sempre queste due categorie di opere – quelle comprese nella mappa della grande rete infrastrutturale europea e quelle direttamente finanziate da Bruxelles attraverso i fondi strutturali – sono quelle che a pieno titolo possono essere definite «europee» e possono quindi eventualmente rientrare in un piano europeo degli investimenti.
La prima proposta, che prevede l’esclusione dal calcolo del deficit di tutti gli investimenti realizzati da un Paese per le opere ricomprese nei corridoi della rete Ten-T, prevede una subordinata: che a essere scorporate siano soltanto le opere transfrontaliere. La proposta sarà ripresentata formalmente il 16-17 settembre da Maurizio Lupi alla riunione informale dei ministri delle infrastrutture e dei trasporti.
Per dare più forza all’operazione che porterà a Bruxelles come presidente di turno, il ministro delle Infrastrutture ha intenzione di invitare anche Padoan, a sua volta presidente di turno dell’Ecofin.
La prima proposta sulla «clausola di investimenti» – che sempre Lupi aveva dettagliato a Bruxelles al consiglio dei ministri dei Trasporti – fu prima accolta con un’apertura dal commissario all’Economia, Olli Rehn, con una lettera all’Ecofin, ma poi "freddata" da un’interpretazione rigida contenuta in una nota metodologica.
Gli uffici del ministero delle Infrastrutture hanno già svolto una serie di elaborazioni relative alle opere italiane comprese nella rete Ten-T. Queste elaborazioni sono inserite nel Documento economico-finanziario che il governo ha varato lo scorso aprile. La modalità di calcolo italiana è molto estensiva e ricomprende tutte le opere localizzate lungo 4 dei 9 corridoi europei che passano per l’Italia (Mediterraneo, Helsinki-La Valletta, Rotterdam-Genova, Baltico-Adriatico). Il Def arriva a calcolare opere per un valore totale di 178 miliardi di euro di cui 37,8 per opere già realizzate (e quindi difficilmente computabili ex post), 62,9 per «opere in corso», 77,6 appena appaltate o ancora in corso di progettazione (ma non ancora partite).
Se il valore più corretto per la «clausola di investimenti» immaginata da Lupi è quindi quello dei 62,9 miliardi di opere in corso, il ministro delle Infrastrutture si rende perfettamente conto che anche questa cifra rischia di suonare come eccessiva alle orecchie degli alleati e dei funzionari europei. Ha quindi predisposto un’ipotesi subordinata che preveda il "congelamento" per le sole opere transfrontaliere. In senso stretto, dal Def si ricava che le opere di questo genere ammontano, per la quota italiana, a circa 10 miliardi grazie soprattutto a due opere, la Tav Torino-Lione e il tunnel del Brennero, che pesano per circa 9 miliardi sulle casse statali (4.455 milioni la prima, 4.865 la seconda).
La seconda proposta, quella della sterilizzazione dei cofinanziamenti nazionali alle spese finanziate dai fondi strutturali Ue, è stata più volte evocata dal premier italiano Matteo Renzi, soprattutto per alcune tipologie di opere (edilizia scolastica e difesa del suolo) ma non ha mai avuto una vera formalizzazione a Bruxelles. Il governo italiano non ha però mai smesso di pensare che fosse un’ipotesi concretamente percorribile e che potesse essere la base di un negoziato politico con alleati e istituzioni europee.
L’orizzonte temporale di tre anni dato da Juncker alla sua apertura sugli investimenti ridà spazio a questa idea con riferimento specifico ai fondi Ue 2007-2013. L’Italia è in grande difficoltà e in grande ritardo nella spesa del vecchio ciclo che deve essere contabilizzata tutta entro il 31 dicembre 2015. Mancano 21 miliardi e lo stesso sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, che ha le deleghe sui fondi Ue, ha detto esplicitamente che l’Italia rischia di perdere fra 5 e 7 miliardi di fondi: se non si riuscissero a spendere entro la fine del prossimo anno sarebbero restituiti alla Ue.
D’altra parte oggi la quota dei cofinanziamenti nazionali è ancora sottoposta a tutti i vincoli cui è sottoposta la spesa ordinaria di investimenti del bilancio statale. Compreso il patto di stabilità interno che impedisce spesso a Regioni ed enti locali di spendere risorse anche quando le ha in cassa.
Prevedere una corsia preferenziale per i cofinanziamenti significherebbe quindi velocizzare la spesa restante e avvicinare il target europeo, riducendo il rischio di perdita di fondi. Una stima recente di Confindustria, presentata 20 giorni fa proprio di fronte a Delrio, calcola in 7.081 milioni il cofinanziamento dei programmi operativi in senso stretto. Questa cifra arriva a 12,6 miliardi se si ricomprendono anche 734 milioni "liberati" dal Piano azione coesione e i 4,8 miliardi di risorse del Fondo sviluppo coesione (Fsc) che partecipa come terza costola al finanziamento dei programmi.
Tutto questo si sposa male con i tempi lunghi e formali dell’Unione europea quando si tratta di introdurre regole di questa portata. La sterilizzazione dei cofinanziamenti ai fondi Ue della nuova programmazione 2014-2020 - altra ipotesi subordinata - risulterebbe però interessante per il medio-lungo periodo, ma niente affatto utile alla soddisfazione del bisogno primario del governo italiano in questo momento: apportare una cospicua iniezione di investimenti per alzare il dato della crescita già da quest’anno.