Diego Gabutti, ItaliaOggi 16/7/2014, 16 luglio 2014
REPUBBLICA, SPONDA DA BIGLIARDO
Forse Francesco I, per dire le cose che effettivamente pensa, usa Repubblica e il suo fondatore come sponde di biliardo. Lui butta lì un’opinione, poi lascia che il quotidiano dei miracoli la metta tra virgolette e, una volta che vescovi e cardinali sono sistemati, si fa avanti il direttore della sala stampa vaticana, Padre Federico Lombardi, che smentisce ma non smentisce del tutto le dichiarazioni attribuite al papa.
Se fosse così, Francesco I sarebbe insieme un campione di carambola e un maestro di rumor e boatos teologici (a metà tra il Cardinale John Henry Newman, nominato Venerabile da Karol Wojtila nel 1991, e Paul Newman nello Spaccone di Robert Rossen, un grande film del 1961). Questo, o Repubblica (che normalmente non mente, o non più di quanto mentano normalmente i giornali) ha la fissazione leggermente psicotica d’inventare le interviste al papa.
Ma se Repubblica non inventasse niente? Se sentisse «le voci», come Giovanna d’Arco? Santa e patrona di Francia dal 1920, a Giovanna d’Arco «sentire le voci» ha portato fortuna, se non sul momento, visto che lì per lì le toccò il supplizio del rogo, almeno a qualche secolo di distanza. Forse il tempo sarà galantuomo anche con Scalfari e con Repubblica, che prima o poi saranno acclamati dai posteri per avere partecipato alla guerra psicologica contro i vescovoni e i cardinaloni (come direbbe il Senatùr, se quel povero peccatore avesse ancora diritto alla parola) che abusano dei bambini. Ma i posteri e la santificazione verranno poi (sempre che vangano). Al momento Repubblica è sulla graticola, esattamente come Giovanna d’Arco ai tempi suoi. Risponde alla «smentita che non smentisce» (come diceva Jason Robard in Tutti gli uomini del presidente, dove interpretava la parte di Ben Bradlee, il direttore del Washington Post) con una «smentita della smentita» che non smentisce alcunché: «Padre Federico Lombardi, nel precisare che il colloquio fra il papa e Scalfari non è stato «un’intervista nel senso abituale del termine», scrive Repubblica, «perché seppure «cordiale e interessante» riporta virgolettati frutto della memoria da «esperto giornalista» di Scalfari ma non la trascrizione precisa d’una registrazione, ha spiegato che Francesco non ha parlato di cardinali pedofili».
Dunque il virgolettato è falso. Ma subito dopo Repubblica aggiunge che «nella Chiesa però vi sono casi dolorosi» di pedofilia che hanno coinvolto anche vescovoni e cardinaloni. Dunque il virgolettato, anche se non «in senso abituale», è vero e, se non proprio vero, è almeno verosimile.
È vero per fede, come Dio e la Politica, o meglio come Dio e la Sinistra Intransigente. Ma anche dopo aver svirgolettato il virgolettato, rimane il fatto che non sono accuse di poco conto: la pedofilia non è un peccato e nemmeno un semplice reato ma un abominio. Berlusconi, per molto ma molto meno, giusto la frequentazione (secondo l’accusa) di prostitute minorenni, cioè diciottenni meno un par di mesi, s’è visto appioppare sette anni di galera, quanti talvolta non ne toccano neppure a un assassino.
Scrivere in prima pagina che ci sono in giro vescovi e cardinali usi a stuprar bambini (per di più attribuendo questa dichiarazione al Papa in carica) è roba da allertare tutte le procure del pianeta. È peggio di un’accusa precisa: Tizio e Caio sono pedofili — indaghiamoli, arrestiamoli, processiamoli e non se ne parli più. È un’insinuazione: vescovi e cardinali, ognuno di loro può essere un pedofilo, non uno che si salvi dal sospetto. Dopo avere applicato il giustizialismo alla storia d’Italia, Repubblica lo applica anche alla storia delle religioni.