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 2014  luglio 15 Martedì calendario

PERISCOPIO


«La sinistra è morta», ha detto Bertinotti mentre puliva con un panno il coltello sporco di sangue. Spinoza: Il Fatto.

Somos todos renziani, dicono sempre più spesso a Saxa Rubra i giornalisti della Rai. Il Fatto.

Ha un appartamento romano, in via Giulia, foderato di finto legno come una scatola di sigari. Alberto Arbasino, Fratelli d’Italia. Adelphi, 1993.

In occasione del convegno a Venezia sull’agenda digitale europea il premier Matteo Renzi si è ostinato a parlare inglese con risultati esilaranti per tutti, salvo che per lui. Con la sua parabola su Antonio Meucci, Renzi fa dei terribili testa-coda: «Meucci is e veri gud italian (Meucci, per Renzi, è ancora vivo), but is olso a terribol istori, bicos Meucci is the rial inventor of mo...telefon, ai’m sorri uidd american pipoll present here (la Madia ride) but olzo de congress of iunited steizz in tu tausand tu, in tu tausend uei (???) ai didn’t rimember, recognaised (aiuto) de faunder the inventor of telefon is Antonio Meucci. Antonio Meucci is incredibol man (Renzi ci ha giocato la sera prima a Risiko) forentaim, who uorked in de tiater, de most ansient tiater in iurop and ii uas uolker and invented dd-d.de telefon to spikin about in the teatre. E genius. Andrea Scanzi. Il Fatto.

«Non rompere il cazzo,» dice, disinvolto e ultimativo, un bambino di due anni al padre che gli negava qualcosa al ristorante. Il padre sorrideva.

È difficile appassionarsi al caso Floris per chi, da anni, guarda soltanto i monologhi di Maurizio Crozza, spesso esilaranti, a volte geniali, e subito dopo cambia canale o va al cinema. Per il resto, Ballarò è un programma a tesi, noiosissimo, in cui un conduttore piazzato dalla vecchia nomenclatura del Pd cerca di indirizzare per due ore e passa il dibattito in studio, con la solita compagnia di giro, in modo da dimostrare alla vecchia nomenclatura del Pd che ha fatto bene a piazzarlo lì. Curzio Maltese. il venerdì.

Roma. Auto intrappolate sul raccordo anulare, metropolitana in tilt e strade impraticabili. Poi è arrivato il temporale. Tweet. Fabio.

Rigoletto, a Parma: un baritono molto bravo ma dalla struttura fisica minuta e ingobbito per via del suo personaggio, deve trasportare, trascinandolo in un sacco, il cadavere di Gilda (che Rigoletto crede essere quello del duca di Mantova) per poterlo gettare nel lago. Ma il personaggio di Gilda è interpretato da un soprano di stazza notevole e l’operazione di svolge con grande difficoltà, con l’aggravante che Gilda, nel sacco, si muove vistosamente per aiutare il povero baritono nel faticoso trasporto (quando invece dovrebbe essere in fin di vita). E dal loggione si leva un urlo: «Senti a me, fai due viaggi!». Gianfranco Plenizio, Bizzarrie musicali. Zecchini editore.

Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese di Hugo Pratt. Umberto Eco, Apocalittici e integrati.

«Puoi dirmi come si chiama questa borgata, e se ci sono dei preti cattolici come noi?». Il contadino lo guardava e gli occhi gli ridevano: «Questa porcata», rispose, «è la città di Piacenza. Preti ce n’è sempre stati anche troppi e da un po’ di tempo ne arrivano ogni giorno di nuovi, con i carri ma poi se ne vanno». Tornò l’ussaro e si vedeva che aveva bevuto perchè pendeva tutto dalla parte sinistra del cavallo e sembrava dovesse cadere da un momento all’altro. Insieme a lui, a piedi, c’era una guardia municipale: un italiano con indosso una specie di divisa messa insieme unendo capi di vestiario di almeno tre divise diverse, francesi e forse anche austriache. «Piacenza è un nome sbagliato. Questa città che non è nemmeno una città, ma soltanto un’accozzaglia di case, dovrebbe chiamarsi Dispiacenza. Io non vedo l’ora di andarmene: e prego Dio di non doverci ritornare in futuro: mai più». Sebastiano Vassalli, L’italiano. Einaudi.

Avevo una vecchia cameriera trafitta da dolorosi reumatismi. Charles Dickens. The Times.

«Chi?» domandò il cavuff. «Il principe di Piemonte!» rispose la marchesa «lo stellone d’Italia adesso è lui: Se non lo guasta quella fanatica della moglie. Non dimentichiamo mai che Maria Josè è una Wittelsbach per parte di madre e dai Wittelsbach c’è da spettarsi di tutto, tanto è vero che quella poverina lì, già è brutta di suo con quei due guanciotti gonfi, le hanno messo un nome da uomo: Josè. Zia Sofia, povera cara, che era nata Von Wedel del ramo bavarese e li conosceva bene, diceva sempre: «I Wittelsbach sono matti come forchette». «Come forchette?». «Sì, un suo modo di dire, forse un proverbio tedesco... Caro Silingardi, venitemi a trovare qualche volta. Anche tu, piccolo segretario. I miei cuginetti, gli Scoccaferri-Leroy, fanno molta musica antica. Fai musica anche tu?». «Suono la mazurka di Migliavacca al mandolino». «Peccato. Adesso debbo proprio lasciarvi, sennò là mi mettono troppa dose nel pomodoro e poi le bottiglie scoppiano». Guglielmo Zucconi, La divisa da Balilla. Edizioni Paoline.1987.

Ci hai mai fatto caso che il modo migliore per far arrivare l’autobus è accendersi una sigaretta? Enzo Salvi. Tweet.

Era di questi giorni, ai primi di luglio, che si partiva. Alla stazione, la sera, l’afa su Milano toglieva il fiato. Ma già dopo la notte in treno, all’alba, l’aria limpida del Cadore aveva tutto un altro profumo. Erba, resina, fieno, registrava attento il mio naso di bambina. Un altro mondo ci si spalancava davanti: due lunghi mesi nelle Dolomiti. Di quel privilegio della mia infanzia oggi mi meraviglia soprattutto una cosa: la natura del tempo, in quelle estati. Era un tempo del tutto differente: lento ma non noioso, e denso invece, e anzi colmo. Le giornate iniziavano, di buon mattino, come con un passo leggero da bambine; poi con l’alzarsi del sole maturavano nella pienezza di luglio. Culminavano nel solleone a picco sulle montagne, dove, mi immaginavo io dalla valle, si andavano sciogliendo gli ultimi nevai, in uno sgocciolio lieve. Poi, il primo pomeriggio era l’ora silenziosa delle persiane socchiuse, delle stanze in penombra, del riposo. Alle quattro, col sole ancora alto, il tempo si faceva un fiume largo, maestoso, che si avviava regalmente alla sua foce. E al tramonto, nel rosa luminescente delle vette, ancora il sole non si arrendeva, e si voltava indietro, mentre affondava nella linea dell’orizzonte. Come se il giorno proprio non volesse morire. Marina Corradi. Avvenire.

La politica è sporca perché gli interessi non sono mai puliti. Roberto Gervaso. Il Messaggero.