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 2014  luglio 15 Martedì calendario

IL PARADOSSO DEI TASSI A ZERO: A LUNGO PER LA FED, MENO PER LA BCE


Chi si fosse chiesto, nella prima mattinata di ieri, cosa avesse fatto scendere il dollaro, non avrebbe trovato risposta. Da 1,359 sull’euro, la valuta è passata a 1,364, senza che un dato macro o una qualsiasi notizia potesse giustificare il movimento. Di conseguenza anche il rendimento del Treasury decennale è scivolato e il future sull’S&P500 è salito, come capita da tempo quando una rinnovata debolezza del dollaro accende la voglia di comprare azioni e bond. La risposta degli operatori è la più candida possibile: «Ci si aspettano parole ancor più suadenti da Janet Yellen domani (oggi per chi legge) nella tradizionale conferenza al Congresso». Risposta candida ed irresponsabile allo stesso tempo: perché è immaginabile che la Fed si mostri ancor più "colomba" di quel che è stata finora? È immaginabile che la Yellen dichiari che i tassi d’interesse resteranno a zero per tutto il 2015? È tutto possibile in un’America che ha trascorso 5 anni fidando nell’enorme quantità di denaro creata dalla banca centrale.
Nel frattempo, in Eurozona, con un’economia in stagnazione, come hanno rivelato i recenti sondaggi e i dati sulla produzione a maggio, con la stessa Germania che sta andando peggio delle attese, la Bundesbank avverte che «questa fase di politica monetaria espansiva non dovrebbe durare più a lungo di quanto sia assolutamente necessario». Si potrebbe chiedere al presidente Jens Weidmann quanto a lungo corrisponda quell’«assolutamente necessario» e ci pare di capire che significhi: pochissimo, questione di mesi. È l’opposto del «lungo periodo» dichiarato dalla Fed in cui resteranno a zero i tassi americani: un periodo così lungo che, nell’accezione dei mercati, dovrà essere almeno di un anno, meglio 18 mesi, come è implicito nel rendimento del T-Bond a 2 anni sceso allo 0,45%.
Dunque, nel discorso che la Yellen pronuncerà quest’oggi, gli operatori di Wall Street s’aspettano grandi cose: che l’economia salirà robusta (e va bene), che la disoccupazione scenderà verso il 5% (e va bene) e che la Fed terrà pertanto immutati i tassi per un «lungo periodo». Manca la variabile inflazione che a maggio era già al 2,1% (Cpi) o all’1,8% (Pce). «La Fed è disposta a tollerare anche un prolungato periodo d’inflazione sopra l’obiettivo», rispondono gli operatori: quelli che ieri hanno comprato euro o yen contro dollaro, oppure Treasury, oppure azioni.
C’è un’altra categoria d’investitori che invece, attraverso i derivati, continua a vendere euro al ribasso (dunque compra dollari) e seguita a vendere anche Treasury. Succede da due mesi, sebbene ogni due settimane questi investitori siano costretti a ricomprarsi quello che hanno venduto, visto che nè il dollaro sale, nè calano i titoli di Stato. Ragionando sui dati macro, hanno accentuato ancora le posizioni ribassiste su euro, yen e Treasury. È probabile che dovranno capitolare nuovamente, perché la Fed è irriducibilmente amica dei mercati. Si vedrà la prossima settimana come commenterà
il dato sui prezzi al consumo
di giugno.