Luca Valdisseri, Corriere della Sera 15/7/2014, 15 luglio 2014
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI RIO DE JANEIRO —
Tutto è nato nel 2004, con il rosso, un colore «positivo». Quando Jürgen Klinsmann propose di cambiare il colore della seconda maglia della Germania — mandando in pensione il verde — lo presero per matto. Andava contro la tradizione e la regola. Peggio ancora quando impose lo psicologo dentro la nazionale. Ruppe un tabù. Non è vero che i calciatori sono giovani, forti e senza problemi. Anche tra loro esistono dipendenze da alcol o droga, omosessualità spesso nascosta, depressione. Robert Enke, portiere, 8 presenze in nazionale, si tolse la vita il 10 novembre 2009, a 32 anni, gettandosi sotto un treno.
Per un po’ Klinsi si sentì come Don Chisciotte contro i mulini a vento. Si appoggiò al suo Sancho Panza, che di nome faceva Joachim Löw, detto Jogi, come l’orso del parco di Yellowstone. Jogi era stato da poco esonerato dall’Austria Vienna, il punto più basso della sua carriera di tecnico. Positività è vedere ogni esperienza come crescita. A chi gli ha chiesto se adesso, da campione del mondo, si voleva togliere qualche sassolino dalla scarpa, Jogi ha risposto: «Al contrario. Devo ringraziare il presidente dell’Austria Vienna. Senza di lui non avrei vinto un Mondiale storico. Siamo la prima squadra europea a conquistarlo in Sudamerica, nel Paese del calcio».
La strana coppia — con la poderosa mano di una Federcalcio collaborativa — ha cambiato il look e la storia della nazionale. Klinsi non ha vinto, perché ha cercato altre avventure dopo il Mondiale in casa nel 2006, perduto in semifinale, ai tempi supplementari, contro l’Italia. Löw ha preso il suo posto e, dopo due terzi e un secondo posto tra Mondiali e Europei, ha raccolto quello che era stato seminato: «La nostra forza è stata la continuità. Questo gruppo è stato insieme 55 giorni, ma su certe idee lavoriamo da dieci anni. Klinsmann aveva capito che la nostra caratteristica, la forza, non bastava più. Tutte le squadre, ormai, sono formate da grandi atleti. Serviva la tecnica. L’abbiamo trovata creando scuole calcio di eccellenza».
La vittoria della Germania nel Mondiale 2014 è un segnale positivo per il calcio, da qualunque punto di vista. Tecnico: la squadra gioca bene, se non lo ha fatto anche in finale è perché la tensione, dopo tanti piazzamenti, era massima. Tattico: è un gruppo dove tutti si sacrificano. Economico: la nazionale è figlia di un sistema sostenibile e di un campionato, la Bundesliga, all’avanguardia in tanti settori. Comportamentale: i tedeschi sono stati professionali anche nei festeggiamenti, senza mai mancare di rispetto agli avversari.
Klinsi e Jogi si sono incontrati anche in questo Mondiale. Era l’ultima partita del girone eliminatorio, con Jürgen sulla panchina degli Stati Uniti. Un pareggio avrebbe aritmeticamente qualificato tutte e due le squadre, garantendo ai tedeschi il primo posto. Non hanno fatto nessun «biscotto» e la Germania ha vinto 1-0. Gli Stati Uniti si sono qualificati lo stesso perché il Portogallo ha fatto peggio di loro come differenza reti.
Essere positivi significa far partire Götze titolare al Mondiale, poi fare altre scelte e infine mandarlo in campo nella finale, dalla panchina, dicendogli: «Entra e fai vedere al mondo che sei più forte di Messi. Facci vincere il Mondiale!». Con una definizione quasi da santone, Löw ha definito Götze «il ragazzo del miracolo, perché può giocare in tanti ruoli e in tutti decidere una partita».
Nel calcio non esiste lo schema perfetto, altrimenti lo applicherebbero tutti e finirebbe sempre in pareggio. C’è stato il WM e il calcio totale, il catenaccio e la trappola del fuorigico, il contropiede e il tiki taka, la difesa a uomo e quella a zona. Adattarsi al mondo esterno e non vivere in isolamento, però, aiuta sempre. «Prima di partire per il Brasile, come avevo fatto quattro anni fa in Sudafrica, ho detto ai miei giocatori: si va in un altro continente, a rappresentare 80 milioni di tedeschi. Dobbiamo farci onore ma anche divertirci, allenarci bene e sfruttare le occasioni per fare nuove esperienze. Ci hanno trattato in maniera squisita: dopo il 7-1 i tifosi brasiliani ci hanno applaudito in aeroporto e al rientro in ritiro. Per questo dico: grazie, Brasile!».
Don Chisciotte e Sancho Panza. Klinsi e Jogi. Li avevano presi per matti.
Luca Valdiserri