Nadine Gordimer, Corriere della Sera 15/7/2014, 15 luglio 2014
Qui sembra esserci un po’ di confusione: la scrittrice sono io. Sicché racconterò semplicemente come vivo con me stessa
Qui sembra esserci un po’ di confusione: la scrittrice sono io. Sicché racconterò semplicemente come vivo con me stessa. Non si tratta certo di una situazione inedita: ognuno di noi si confronta con la questione fondamentale del proprio io. Una relazione intima che, si dice, influisce su tutte le altre. Prima conosci te stesso. Non è forse la relazione più difficile? (...) Credo ci sia qualcosa di mostruoso nella personalità degli scrittori, degli artisti in generale. Se l’egoismo può definirsi mostruoso. Come la maggior parte degli scrittori — ve lo garantisco — ho dovuto convincermi della necessità di anteporre senza rimorsi le esigenze della mia attività di scrittrice agli obblighi umani — tranne, forse, quando mi sono innamorata. In base allo stesso principio per cui i capi d’azienda sono protetti da telefonate e visite indiscriminate da una barriera di receptionist e segretarie, tempo fa misi in chiaro a tutti, comprese le persone a me più vicine e care, che durante le ore di lavoro nessuno doveva entrare nella mia stanza, né aspettarsi di potermi contattare. Siccome la casa in cui vivo è anche il mio luogo di lavoro, l’unica interruzione ammessa è per dirmi che è scoppiato un incendio. Quando i miei figli erano ancora troppo piccoli per il collegio, le ore dedicate alla scrittura erano quelle in cui frequentavano la scuola diurna, e durante le vacanze la scrittrice-mostro decretava il divieto di avvicinarsi e fare rumore in quelle ore. Ma un giorno ricevetti ciò che senza dubbio meritavo, quando mio figlio minore trasgredì venendo a giocare vicino alla mia finestra, e alla domanda di un amico su che lavoro facesse sua madre lo sentii rispondere: «La dattilografa». La sua risposta a come si vive con uno scrittore. © RIPRODUZIONE RISERVATA Testo tratto da Nadine Gordimer, «Vivere con uno scrittore» (2003), in libreria dal 15 ottobre per Feltrinelli nella raccolta «Tempi da raccontare». La traduzione è di Valeria Gattei.