Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 15 Martedì calendario

Seveso 1976, l’Italia scopre che l’industria può far male Il 10 luglio di 38 anni fa il disastro all’Icmesa, uno choc per il Paese Roberto Giovannini Quel sabato di 38 anni fa, 10 luglio 1976, l’Italia scoprì che l’industria può uccidere

Seveso 1976, l’Italia scopre che l’industria può far male Il 10 luglio di 38 anni fa il disastro all’Icmesa, uno choc per il Paese Roberto Giovannini Quel sabato di 38 anni fa, 10 luglio 1976, l’Italia scoprì che l’industria può uccidere. Fu il disastro di Seveso, che ancora oggi gli esperti annoverano - dopo quelli di Bhopal e di Chernobyl - come uno dei più gravi disastri ambientali provocati dall’uomo. Un disastro che rappresentò uno choc culturale per l’Italia, dove il boom industriale non si era accompagnato a regole per tutelare l’ambiente e la salute di lavoratori e popolazioni. Non ci furono ufficialmente morti legati in modo diretto al disastro, ma la devastazione fu immensa. Decine di chilometri quadrati di Lombardia e 40mila persone esposte alla contaminazione da diossina. Decine di migliaia di animali morti o uccisi. Tonnellate di prodotti agricoli seccati dalla diossina, o distrutti per evitare danni peggiori. Furono 447 le persone - tanti i bambini - avvelenati o colpiti dalla cloracne, una dermatite generata dalla diossina sparsa su un vasto territorio a pochi chilometri da Milano, che provocava cisti e lesioni dolorose. Le fotografie pubblicate sui quotidiani richiamarono, allora, le devastanti sofferenze procurate dagli agenti chimici sparsi dagli americani sulle popolazioni civili in Vietnam. Quanto allora potente fosse l’industria, quanto impotenti fossero le istituzioni e i cittadini sembra per noi, nel 2014, quasi incomprensibile. L’Icmesa, arrivata a Meda nel 1947 e di proprietà della multinazionale svizzera Hoffmann-La Roche, aveva dato problemi sin dal 1948 a Meda e Seveso, i Comuni confinanti. Si denunciavano «odori nauseabondi ed insopportabili nell´atmosfera», intossicazione di pecore e altri animali, lo scarico di sostanze pericolosissime nel torrente Certesa, incendi di rifiuti nocivi, inquinamento delle falde acquifere. Nel 1974 l’allora direttore tecnico dell’azienda - nonostante le schiaccianti evidenze emerse nel processo - era stato assolto per «insufficienza di prove». Quel 10 luglio del 1976 all’interno del reattore A 101 dalle sei della mattina c’erano molti chili di tetraclorobenzolo, etilenglicole e soda caustica, i componenti del triclorofenolo, un agente presente in molti diserbanti. Nel corso della mattinata queste sostanze avviarono una reazione chimica nel serbatoio, generando grandi quantità di Tcdd, ovvero tetraclorodibenzo-p-diossina, una sostanza altamente cancerogena e considerata tra i più potenti veleni conosciuti. La temperatura crebbe oltre i livelli di guardia, e per evitare l’esplosione un disco di sicurezza saltò esattamente alle 12 e 37, liberando nell’aria 400 chili di sostanze chimiche, tra cui diversi chili - ancora oggi non sappiamo quanti esattamente, forse 14 - di diossina. Mentre il vento spargeva a sud-est i vapori tossici, nessuno - nessuno - pensò di avvertire le autorità. Soltanto il giorno dopo, la domenica, il sindaco di Seveso ricevette la visita di due tecnici dell’Icmesa, che parlarono in termini vaghi ma anche molto tecnici di un’incidente. Solo il 12 i responsabili dell’azienda informarono l’ufficiale sanitario. Solo il giorno 19 l’azienda ammise la gravità dell’incidente, dopo aver cercato addirittura di mantenere aperto e produttivo lo stabilimento. I primi, timidi e confusi, provvedimenti per fronteggiare il disastro vennero presi così dopo cinque giorni di silenzi e mezze verità. L’eredità dell’incidente di Seveso fu innanzitutto la nascita di un ambientalismo serio e scientifico, di cui fu emblema e protagonista Laura Conti. Fu una bonifica lunga e costosa, che oggi ha dato vita al «Bosco delle Querce», sorto al di sopra delle vasche dove è interrata la terra contaminata da diossina. Fu una popolazione colpita da alterazioni ormonali neonatali, e un territorio ancora in parte contaminato, dove oggi si vuole far passare tra proteste l’autostrada Pedemontana. Fu il varo, nel 1982, della direttiva europea «Seveso» (poi rinnovata e potenziata) che impone il censimento delle industrie a rischio, la definizione di appositi piani di emergenza, i controlli pubblici e l’informazione costante delle popolazioni. Resta invece più che mai attuale, 38 anni dopo, il nodo del rapporto tra produzione e lavoro da una parte, e territorio e salute dall’altra. Il caso dell’Ilva di Taranto, per fare un esempio, sta lì a ricordarcelo. Troppo spesso ancora oggi si afferma che l’economia e la produzione hanno «ragioni superiori», che l’occupazione e il reddito sono più importanti. Ma non è così. Ci siamo prima noi. C’è prima l’ambiente.