Maurizio Molinari, La Stampa 15/7/2014, 15 luglio 2014
Dentro la batteria dell’Iron Dome “Hamas ci sfida, non si può sbagliare” Nella postazione che protegge Tel Aviv: il nemico ci ha testati con i razzi, e ora con i droni Maurizio Molinari Hamas sfodera i droni per continuare a sorprendere Israele, puntando a raccogliere informazioni sul suo più efficiente avversario: l’Iron Dome
Dentro la batteria dell’Iron Dome “Hamas ci sfida, non si può sbagliare” Nella postazione che protegge Tel Aviv: il nemico ci ha testati con i razzi, e ora con i droni Maurizio Molinari Hamas sfodera i droni per continuare a sorprendere Israele, puntando a raccogliere informazioni sul suo più efficiente avversario: l’Iron Dome. Dall’inizio della crisi militare Hamas ha lanciato contro Israele oltre mille razzi, di cui almeno 300 destinati a colpire centri abitati e se i danni arrecati sono stati assai limitati il merito è delle batterie anti-missile che ne hanno abbattuti circa il 90 per cento. Una di queste batterie, posizionata fra le colline di una ex discarica di rifiuti alle porte di Tel Aviv, si presenta ad occhio nudo come una struttura essenziale: due lanciatori, da 20 intercettori ciascuno, rivolti verso Sud, un radar e un centro di comando. Il tutto gestito da un pugno di militari dell’Aviazione, che ha creato un’unità apposita per manovrare le otto batterie esistenti, ognuna delle quali ha la responsabilità di difendere una grande area urbana. «Da quando questa crisi è iniziata – spiega Peter Lerner, portavoce delle forze armate, dando le spalle ai lanciatori – Hamas si è resa conto che l’Iron Dome è un avversario temibile, e più volte lo ha sfidato». Il riferimento è a lanci contemporanei di molti razzi - 40, 45 e in alcuni casi 50 - contro le città del Sud - Ashdod, Ashkelon e Beersheva - tesi ad appurare se potevano mettere in difficoltà il sistema di difesa hi-tech realizzato nel 2011 da Rafael ed Elta con il consistente sostegno finanziario degli Stati Uniti. Poiché Iron Dome ha superato questi «test», ora Hamas tenta un’altra strada per beffarlo: far decollare dalla Striscia degli aerei senza pilota e scattare immagini aeree tese a scoprire dove le batterie si trovano e, di conseguenza, se hanno dei punti deboli. Lerner liquida i droni di Hamas con poche parole: «Sapevamo che ne erano in possesso, appena si è levato in volo lo abbiamo visto e davanti alla costa di Ashdod lo abbiamo abbattuto con un Patriot». Le brigate Izz a Din al-Qassam di Hamas ribattono che «di droni ne abbiamo fatti decollare tre», quello abbattuto non è una grande perdita «perché già in passato avevamo raccolto molte immagini aeree di Israele, incluso il ministero della Difesa» e inoltre «abbiamo diversi tipi di droni per missioni di intelligence, di bombardamento e di attacco suicida». Come dire: si tratta di un arsenale. La pista dei droni, per l’intelligence militare israeliana, porta a Teheran ovvero alle «ingenti forniture di armi avvenute grazie ai tunnel che collegano il Sinai a Gaza», la cui entità si suppone sulla base dei quantitativi di razzi trovati sulle navi catturate, Karina-A nel 2002 e Kloc-C in marzo. D’altra parte, proprio l’Iran ha fornito il drone che Hezbollah nel 2013 ha fatto volare dal Libano del Sud fino ad Israele, con un gesto di sfida simile a quello ora compiuto da Hamas. «Le tattiche di Hezbollah sono state studiate in maniera minuziosa da Hamas, sui razzi e sui tunnel», aggiunge l’ufficiale dell’intelligence. Ma il tentativo di Hamas di beffare l’Iron Dome si scontra con un sistema che sfiora la fantascienza per la sovrapposizione fra tecnologia e ruolo dell’uomo. A spiegarlo è Jonathan Mosery, portavoce del ministero della Difesa: «Quando un razzo parte viene identificato dal radar dell’Iron Dome in un millesimo di secondo, viene agganciato dalla batteria degli intercettori e a quel punto è un militare ad autorizzare il lancio per abbatterlo». Poiché il tutto si svolge in un arco di decine di secondi ciò significa che l’Iron Dome nasce dall’integrazione fra hi-tech ed esseri umani. Impossibile sapere di più: su come questa integrazione avviene, verosimilmente attraverso un computer, o sul metodo con cui l’intercettore distrugge il razzo. L’altra componente «top secret» delle 8 batterie - destinate a diventare 15 grazie a un investimento da un miliardo di dollari che si aggiunge ai 200 milioni di dollari approvati dalla Casa Bianca - è l’integrazione con il sistema di «allerta rossa» che scatta nella stessa area dove il radar prevede la caduta a terra del razzo. Tali e tanti segreti portano al proliferare di voci difficili da controllare sull’origine dell’Iron Dome, a cominciare dalla teoria che sarebbero stati degli ex militari dell’Armata Rossa, emigrati in Israele negli anni Novanta, a rivelare i segreti della guerra balistica di teatro - che era uno dei punti di forza dell’esercito sovietico - consentendo di sviluppare le contromisure al lancio di razzi a corto e medio raggio. Dall’India alla Corea del Sud più nazioni stanno verificando la possibilità di acquistare batterie di Iron Dome e la recente Fiera di Singapore ha consentito a Rafael di presentarne la versione più avveniristica: con raggi laser al posto degli intercettori al fine di poter polverizzare non decine ma centinaia di razzi contemporaneamente in arrivo.