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 2014  luglio 12 Sabato calendario

SIETE MAI STATI A UN MATRIMONIO ROM?

Le danze impazzano. Tutti ridono e si divertono. Tutti, ma non la diciottenne Gioia. Ha un solo pensiero: scappare in fretta da quel matrimonio in perfetta tradizione rom per tornare a Torino e al suo (segreto) incarico di assistente di set... Basta questa scena ed è subito chiaro: c’è tanto di autobiografico in Io rom romantica, la commedia presentata in anteprima al festival di Giffoni.
Sì, perché la regista, Laura Halilovic – fisico esile e volontà d’acciaio – è una ventiquattrenne d’origine bosniaca, nata in un campo nomadi torinese, che ha dovuto lottare su ogni fronte: contro i pregiudizi degli italiani («Ero così felice il primo giorno di scuola, un compagno mi gelò: “Ci mancava pure la zingara!”») e contro quelli della sua gente.
«Mio padre, da cui ho ereditato la passione per i video – ci riprendeva in continuazione quando io e i miei quattro fratelli eravamo bambini – si è sempre opposto al mio sogno di una carriera nel cinema: da noi se lavori fuori (qualunque sia il mestiere) e non sei sposata, vieni considerata una prostituta. Per quanto ora vada un po’ meglio: pur continuando a essere i maschi quelli che portano i pantaloni, sono di più le donne che lavorano...».
Di certo lei è l’unica regista. «La mia è una passione che nasce da bambina, guardavo molta tv. La svolta è arrivata a 8 anni, ho visto Manhattan e mi sono innamorata di Woody Allen. Della storia avevo capito ben poco, però mi piaceva il suo modo di essere e il fatto che potesse stare davanti a una macchina da presa a raccontarsi con sincerità».
Questa non è una fiaba. Prima di giungere al film, c’è il trasferimento dal campo nomadi a una casa popolare, con la madre che fra quattro mura si sentiva soffocare («e infatti oggi i miei sono tornati a vivere sul terreno»); c’è l’abbandono della scuola dopo la terza media e il turn over di lavoretti (colf-aiuto cuoca-barista). C’è il disagio di deludere di continuo i genitori - e la nonna - cui è attaccatissima («Le ragazze della mia età si sposavano e in famiglia non capivano perché io mi rifiutassi»).
Nel 2008, un incontro fondamentale: due registi, Davide Tosco e Nicola Rondolino, le prestano una piccola Canon. Esordisce con un corto (L’illusione, su un amore adolescenziale) e con quello vince il festival Sotto 18. Il premio? Utilissimo: una telecamera. Che usa, nel 2009, per un doc pluripremiato: Io, la mia famiglia rom e Woody Allen.
«All’inizio mi vergognavo delle mie origini, dopo il documentario ho deciso di fregarmene e, anzi, di andarne fiera. È difficile spiegare la nostra cultura, bisogna viverla. Però non starò certo qui a difenderla in blocco: la storia del matrimonio, per esempio. Sposarsi a 15 anni è una tradizione stupida - spero che il film serva a farlo capire - e assurda: puoi scegliere solo uno della tua gente, però, se dopo divorzi, puoi legarti a chiunque». In Io rom romantica Laura non risparmia niente neppure ai gagé. «Siete un po’ nevrotici. Mi colpisce la faccenda della terapia di coppia: una moglie e un marito in crisi vanno da un estraneo a raccontare i loro problemi... Da noi si fa “in casa” ed è positivo: si parla tutti insieme e si cerca di risolvere le questioni. E poi siete diffidenti, mentre bisogna credere nelle persone. Quanti pregiudizi: gli zingari rubano, portano via i bambini, puzzano... Dovete distinguere, se uno sbaglia, non devono essere tanti non colpevoli a pagare. Per quanto ci riguarda, invece, dobbiamo imparare a non metterci da parte, a lasciarci conoscere: “Sono zingara non posso fare niente, sto al mio posto...”».
L’esempio di Laura servirà: la prima regista rom italiana. «Un attimo: sono nata qua, ma non mi hanno dato la cittadinanza. Ho il permesso di soggiorno, ogni anno devo dare le impronte digitali per rinnovarlo».