Marco Fattorini e Marco Sarti, Linkiesta 12/7/2014; Marco Fattorini e Marco Sarti, Linkiesta 14/7/2014, 12 luglio 2014
L’EMERGENZA NOMADI A ROMA
(tre puntate) –
Tor di Quinto, Roma Nord. A un passo dai quartieri alti di Corso Francia e Collina Fleming, a poche centinaia di metri dagli aperitivi alla moda di Ponte Milvio, c’è un pezzo d’inferno. Lungo una breve striscia d’asfalto bruciano i corsi e ricorsi storici di una città in eterno affanno. Discariche abusive, cani randagi, baracche, prostitute in camper. L’omicidio della signora Reggiani per mano dello sbandato Romulus Nicolae Mailat, clamoroso episodio di cronaca nera nonché volano della campagna elettorale di Gianni Alemanno avvenne qui vicino, era il 2007. Sempre qui lo scorso maggio si è consumato l’agguato ai pullman dei tifosi del Napoli ed è stato ferito a morte Ciro Esposito.
C’era anche un campo nomadi a Tor di Quinto. In via del Baiardo, tra la pista ciclabile e un’interminabile serie di campi sportivi. Uno dei più vasti insediamenti della Capitale. Nell’estate di due anni fa la giunta Alemanno riuscì a smantellarlo. Vent’anni di vita. Un accampamento storico, grande e disordinato, crogiolo di etnie dalla convivenza difficile e dalle attività spesso illecite. Baracche e roulotte ben visibili dalla tangenziale, chine sulle sponde del Tevere. Per sgomberare il villaggio il sindaco ci aveva messo tre anni. Mesi di censimenti, burocrazia e opposizioni politiche. Il resto è storia recente. Ripulita l’area, i progetti di riqualificazione sono finiti nel cassetto di qualche ufficio del Campidoglio. Il sogno di costruire un grande impianto sportivo a due passi dal Tevere è tramontato assieme alla candidatura per le Olimpiadi 2020. E i cittadini del quartiere hanno perso ogni residua speranza. Non ci sono più i nomadi, ma su quei terreni oggi sorge una discarica abusiva. «È la nostra Terra dei Fuochi» racconta il consigliere municipale Giuseppe Calendino. Esponente di Fratelli d’Italia, qualche settimana fa ha inseguito e fatto arrestare un nomade che scaricava pneumatici sul ciglio della strada, per i giornali di quartiere è diventato il “consigliere sceriffo”. «E la vuole sapere qual è la differenza con la Campania? - continua Calendino - A Tor di Quinto i rifiuti, anche tossici, non vengono seppelliti. Restano all’aria aperta». Per rendersi conto dello scempio basta superare quello che una volta era l’ingresso del campo nomadi. Un’enorme area abbandonata, una pattumiera ricolma di calcinacci, materiali per l’edilizia, infissi, televisori, scheletri di frigoriferi e divani. Proseguendo verso l’argine del fiume non è difficile imbattersi nei resti di roghi e delle ultime baracche ricostruite in fretta e furia dopo lo sgombero.
Ecco quel che rimane dell’insediamento di via del Baiardo. Simbolico fallimento degli interventi che negli anni hanno tentato di sistemare, nascondere, ricollocare i nomadi. Un’emergenza eterna, come la città che non ha mai imparato a conviverci. Una situazione ormai fuori controllo che divide i romani, li fa litigare generando illegalità e razzismo, degrado ed emarginazione. Dai cassonetti depredati ai roghi tossici, dai furti di rame alle bande di borseggiatori che controllano la stazione Termini. Dalle guerre etniche negli accampamenti alle famiglie per bene che non trovano lavoro e faticano ad affrancarsi dall’etichetta di nomadi. Difficile conoscere i numeri esatti del fenomeno. In tutta la città circa cinquemila nomadi — di cui 2.350 minorenni — vivono nei sette campi attrezzati e nei due “tollerati”. Senza contare i settemila sparsi nelle centinaia di insediamenti abusivi che spuntano come funghi nelle periferie. Solo nei primi mesi del 2014 il gruppo Sicurezza Pubblica ed Emergenziale della Polizia locale di Roma Capitale ne ha individuati 86. Intanto il Comune continua a spendere. Secondo un recente studio dell’associazione 21 Luglio, vicina ai diritti delle popolazioni rom e sinti, lo scorso anno il Campidoglio ha dilapidato più di 24 milioni per affrontare la “questione rom”. Gran parte per la gestione e la vigilanza dei campi e solo lo 0,4 per cento per l’inclusione sociale dei nomadi. Basta pensare al caso di Castel Romano, il più grande insediamento della città. Sorge nel quadrante meridionale della Capitale, lungo la via Pontina. Ospita poco meno di 900 persone, ma per i contribuenti romani è un incubo: solo nel 2013 è costato oltre 5 milioni di euro. «Dalla sua nascita nel 2005 - si legge ancora nel documento dell’associazione 21 Luglio - per una famiglia composta da 5 persone il Comune di Roma ha già speso oltre 270mila euro». Una pioggia di denaro pubblico che si perde nel buco nero dell’eterna emergenza nomadi. Una tavola imbandita attorno a cui siedono trentacinque enti pubblici e privati tra aziende, cooperative e associazioni che operano nei campi prestando servizi di gestione, vigilanza, pulizia, scolarizzazione, assistenza. Buona parte dei quali ha ricevuto gli incarichi tramite affidamento diretto e non con bandi pubblici.
«Il bello è che oggi non siamo in grado di sapere nemmeno quanti nomadi vivono sul nostro territorio» racconta l’avvocato Giorgio Mori, ex presidente della commissione Politiche Sociali del XV municipio. «I campi abusivi nascono continuamente». Sulla via Flaminia una trentina di nomadi vive ormai da anni sotto un cavalcavia. Non sono neppure nascosti, l’insediamento improvvisato sorge a due passi dal centro Rai, proprio di fronte a uno dei principali depositi Atac della città. «Quando ero consigliere - continua Mori - li abbiamo allontanati almeno tre volte, senza risultato». Sulla via Cassia un altro gruppo di nomadi aveva trovato alloggio in un sottopassaggio a pochi metri da una scuola. «Dopo l’ennesimo inutile sgombero abbiamo dovuto sigillare gli ingressi per evitare che rientrassero». Ignazio Marino, Gianni Alemanno, Walter Veltroni. Per una volta destra e sinistra si scoprono unite. Anche tornando indietro nel tempo, sembra che a Roma non ci sia mai stata un’amministrazione in grado di risolvere la questione nomadi. «Almeno il piano di Alemanno cercava di rendere la vita difficile ai rom allontanandoli il più possibile dal centro, mentre oggi l’amministrazione non sa che fare», attacca l’avvocato Mori. Ed è proprio alla precedente amministrazione che si deve l’attuale assetto. I sette “villaggi della solidarietà” attrezzati e i tre “centri di raccolta rom” dove sono confluiti i nomadi cacciati dagli insediamenti abusivi, con non pochi problemi di integrazione e convivenza tra etnie diverse. Dieci strutture confinate all’estrema periferia della città (la più lontana è a 32 km dal centro) e afflitte da problemi in via di cronicizzazione. L’associazione 21 Luglio denuncia «isolamento fisico e relazionale, precarie condizioni igienico-sanitarie, spazi inadeguati e asfittici, servizi interni insufficienti e unità abitative in stato di grave deterioramento». Bungalow, container, roulotte, microcosmi con regolamenti rigidi e prassi fin troppo fluide.
Nel XV municipio oggi resta un unico campo autorizzato. È il Camping River, un’ex struttura turistica di proprietà privata in fondo a via della Tenuta Piccirilli, periferia nord della Capitale. Dal 2005 a pagare l’affitto è il Comune. Qui trovano alloggio romeni, bosniaci, kosovari, più un gruppo di nomadi provenienti dal Casilino ’900, l’ex campo più grande d’Europa smantellato nel 2010 da Alemanno. Il Camping River accoglie 550 persone e solo nel 2013 l’amministrazione comunale ha sborsato 2,2 milioni di euro per le spese di gestione, sicurezza e scolarizzazione del campo. L’associazione 21 Luglio ha calcolato che dall’insediamento (2005) ogni famiglia sia costata alle casse pubbliche 210mila euro. Senza una cartina non è facile trovare il campo. Sorge alla fine di una strada residenziale lunga e stretta. Prima di raggiungere l’ingresso bisogna superare una serie di villette curate, una pizzeria e un’associazione sportiva. Poi c’è il camping dei nomadi. Gli addetti ai lavori lo presentano come «uno degli insediamenti attrezzati meglio gestiti e più puliti di Roma». Hanno ragione. Perché qui i problemi restano chiusi appena fuori dal cancello di ingresso.
È uno degli abitanti del quartiere a esternare il disagio dei residenti, barricati in casa tra antifurti e inferriate. A patto di parlare sotto anonimato. «Ormai questa strada è terra loro — spiega al telefono — Corrono con le automobili di grossa cilindrata, senza assicurazione, noi non possiamo nemmeno uscire perché rischiamo di essere investiti». Chi vive a via Tenuta Piccirilli sgrana il rosario dei soprusi. A partire dalle macchine dei residenti che vengono sistematicamente “battezzate”. «Passi per i minorenni che vedo spesso al volante - continua lo sfogo - Ma tanti ragazzi scavalcano continuamente le recinzioni per buttare l’immondizia e fare i loro bisogni nei nostri giardini». I vicini ricordano anche i furti di legna dal forno della pizzeria. Alla fine l’elenco della rabbia si trasforma in una guerra tra poveri, sullo sfondo un quartiere dimenticato dall’amministrazione comunale: «Nella nostra via vivono una quarantina di famiglie e nonostante questo siamo senza fogna e senza allaccio idrico, abbiamo dovuto provvedere autonomamente con pozzi e fosse biologiche. Invece il villaggio rom ha fognature e depurazione dell’acqua». Non ci sono autobus. «Ma una navetta riservata ai rom parte proprio davanti al villaggio. Pensare che fuori dall’ingresso è pieno di Mercedes, Porsche e Bmw…». La rabbia si trasforma in esasperazione. Ma i residenti ci tengono a respingere ogni accusa di razzismo. «Siamo gente semplice e non abbiamo nulla in contrario ad accogliere chi ha bisogno, purché viva rispettando le regole della comunità. Ormai però, qui comandano i nomadi. Fanno gli arroganti, tanto sanno che nun je potemo fa’ niente…».
Marco Fattorini e Marco Sarti, Linkiesta 12/7/2014
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Nella Capitale Antonio Di Maggio si occupa dei rom da almeno vent’anni. Un veterano dell’emergenza nomadi. Vicecomandante della Polizia locale di Roma, è il titolare del gruppo di Sicurezza Pubblica ed Emergenziale, un nucleo di 60 uomini impegnato, tra le altre cose, nel monitoraggio dei campi autorizzati e degli insediamenti abusivi. Modi burberi e disponibilità genuina, alle sue dipendenze c’è una squadra affiatata. Una task force di eccellenza che vigila sulla Capitale parallela: una città fatta di nomadi, invisibili, senzatetto, abusivismo edilizio e ambientale. Agenti in prima linea, ma solo tre pattuglie per turno che devono vegliare su tutto il territorio. Chi si aspetta un ufficio al Campidoglio, magari con vista sui Fori, rischia di rimanere deluso. La sede del gruppo è a Ponte di Nona, quartiere ultraperiferico a est di Roma. Palazzoni nuovi e strade larghe che venerano la classica cattedrale nel deserto, il centro commerciale. L’aria è quella del quartiere dormitorio, come ce ne sono tanti ai margini delle grandi metropoli. Persino anonimo, se non fosse per il campo nomadi di Salone.
Un tempo insediamento modello, oggi è unanimemente riconosciuto come uno degli accampamenti più difficili della Capitale. Nel 2006 era nato per ospitare 600 persone, ma già un anno fa l’ufficio nomadi del Comune ne aveva censite 900. Per qualcuno ora sono molte di più. L’Associazione 21 Luglio, da sempre vicina alle comunità rom e sinti, denuncia le difficoltà di vita dei nomadi residenti, strettamente connesse alla posizione isolata del campo. «Raggiungere i servizi essenziali dall’insediamento risulta estremamente complicato — si legge in un recente dossier — La farmacia più vicina dista 4,2 chilometri, l’ospedale 10,6 chilometri, l’ufficio postale 2,7 chilometri, il negozio di generi alimentari 3,2 chilometri». Intanto solo lo scorso anno il Campidoglio ha investito quasi tre milioni di euro per la gestione del campo. In circa otto anni, stima l’associazione, ognuna delle famiglie che vive qui è costata alle casse cittadine 144,558mila euro.
Per tutti, quello di Salone è il campo degli incendi. Se ne lamentano gli abitanti del quartiere, le autorità locali confermano con rassegnazione. Una terra dei fuochi lungo il grande raccordo anulare. Di giorno i palazzi vicini all’insediamento vengono avvolti da alte nuvole di fumo denso e nero. La notte i vigili del fuoco sono costretti a intervenire per spegnere le fiamme (quando non devono scappare perché accolti a sassate). Come spiega un rapporto della Polizia locale di Roma Capitale, nel campo di via di Salone è stata «accertata un’attività di gestione illecita di rifiuti». Le indagini della squadra di Di Maggio hanno evidenziato la presenza attorno all’insediamento di almeno «40-50 autocarri adibiti a raccolta e trasporto di rottami». Così assieme agli incendi incontrollati — e i conseguenti rischi per la salute di chi vive a Ponte di Nona — nella zona sono già state sequestrate un paio di discariche abusive e quasi 6mila chili di rifiuti. Una situazione resa ancora più rischiosa dal contesto ambientale. Nei decenni passati, la zona dove sorge il campo nomadi ospitava vecchie discariche e cave di pozzolana riempite di rifiuti. Come se non bastasse, a pochi metri dall’insediamento oggi sorge un deposito Gpl dell’Eni e un’ex area industriale nel cui sottosuolo Italgas nel 2010 appurava una «contaminazione storica» di sostanze come arsenico, berillio, piombo, rame, selenio e idrocarburi vari.
È il Gruppo Sicurezza Pubblica ed Emergenziale ad avere il polso della situazione sui vari campi nomadi capitolini. Nonostante la qualifica di dirigente, Antonio Di Maggio partecipa personalmente ai controlli: dagli sgomberi ai sopralluoghi. Nel campo di Salone ormai lo conoscono tutti, per entrare basta una sola pattuglia della Municipale. Nessun insulto, solo saluti e sorrisi. Tra i moduli abitativi messi a disposizione dal Campidoglio i più piccoli lo accolgono mostrando il palmo della mano. «Ciao Maggio». Gli anziani del campo lo rispettano. I resti degli ultimi roghi sono ancora visibili. All’ingresso del campo fa bella mostra una mercedes Classe A carbonizzata, data alle fiamme nella notte. E poi diversi cumuli di rifiuti ammassati a bordo strada, nonostante i cassonetti presenti nel campo. Telecamere spente, portineria della vigilanza vuota e un container con la scritta “Polizia Municipale” sbarrato da tempo. «Mancano le risorse», conferma un agente. Tra bambini in bicicletta e sporcizia, lungo la stradina che attraversa l’insediamento si alternano pozzanghere e topi. «Con i nomadi - racconta Di Maggio durante il sopralluogo - c’è un confronto quotidiano». Il fattore umano conta più di qualsiasi protocollo. «Loro si rivolgono a noi per chiederci aiuto su violenze subite e problematiche sociali».
Eppure il rapporto tra i nomadi e il quartiere è diventato difficile. Forse anche troppo. E così a Ponte di Nona un gruppo di cittadini ha iniziato a pattugliare le strade per arginare illegalità e delinquenza. Due automobili, una decina di volontari, alternandosi riescono a operare per tutta la notte. Sono il Caop, Coordinamento Azioni Operative Ponte di Nona. Il presidente è Franco Pirina, libero professionista e residente in zona. «Quando vediamo qualcosa che non va — ci tiene a specificare — non interveniamo. Chiamiamo immediatamente le forze dell’ordine». Le pattuglie improvvisate girano per le strade del quartiere fino alle prime luci dell’alba. La gente si sente più sicura, racconta orgoglioso il presidente, tanto che presto il servizio sarà esteso anche alla vicina zona di Settecamini.
Pirina non gira troppo attorno alle parole. A Ponte di Nona la situazione ormai è insostenibile. «E per quello che vedo io — racconta — l’ottanta per cento dell’illegalità è legata al campo nomadi». Nel quartiere c’è chi denuncia furti, atti di vandalismo. Al centro delle polemiche restano gli immancabili roghi. Di fronte alle colonne di fumo che continuano ad alzarsi, i cittadini si difendono come possono. Dopo alcune segnalazioni in Campidoglio, lo scorso autunno Pirina ha denunciato Ignazio Marino e l’amministrazione comunale per omissione di atti d’ufficio. «La sa una cosa? — racconta il presidente del Caop — Il gabinetto del sindaco mi ha già contattato per chiedere di rinunciare alla querela. Ma io li voglio portare in tribunale. Al processo ci costituiremo parte civile e il risarcimento che otterremo sarà interamente devoluto alle forze dell’ordine». Nonostante le buone intenzioni, il rischio che la tensione possa degenerare è concreto. «Da un momento all’altro può succedere qualcosa — racconta ancora Pirina — spiace dirlo, ma abbiamo già scritto al prefetto per avvertirlo che qualcuno potrebbe compiere azioni violente ed eclatanti nei confronti del campo nomadi. La gente ormai è esasperata».
Intanto i campi nomadi della Capitale sono rimasti senza controllo. Lo scorso primo luglio, il Campidoglio ha deciso di sospendere il servizio di monitoraggio e portierato dei villaggi autorizzati svolto da 80 operatori della società Risorse per Roma, partecipata del Comune. Una scelta politica, lamenta qualcuno. Il progetto era stato voluto da Gianni Alemanno: un servizio di controllo degli ingressi, ispezioni nei campi e segnalazioni alle autorità competenti. Ora la giunta di centrosinistra ha deciso di voltare pagina. «Eravamo entrati due anni e mezzo fa con un bando pubblico — racconta uno degli operatori rimasti senza stipendio — e adesso siamo finiti in mezzo a una strada». In questi giorni è in corso un braccio di ferro con l’amministrazione capitolina per salvare i posti di lavoro. Anche per questo gli ex lavoratori di Risorse per Roma chiedono di parlare sotto anonimato. Dai loro racconti emerge una realtà inquietante. Violenze, minacce e aggressioni subite durante i turni di servizio.
Fino a pochi giorni fa i dipendenti hanno controllato gli accessi degli insediamenti 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Il risultato? Oltre 8mila segnalazioni alle autorità competenti relative ad attività illecite, richieste di soccorso, manutenzione. Non solo. I dipendenti rappresentavano un punto di riferimento per le fasce più deboli della comunità nomade. «Donne, bambini. Famiglie spesso costrette a pagare il pizzo per poter avere in subaffitto i moduli abitativi messi a disposizione del campo». Adesso tutto è cambiato. «La nuova amministrazione cittadina ha mostrato totale disinteresse. Le nostre segnalazioni sono finite sistematicamente nel nulla». Fino alla definitiva sospensione del servizio. «E i risultati già si vedono — racconta uno dei dipendenti licenziati — al campo della Barbuta sono stati vandalizzati i moduli abitativi destinati a Risorse per Roma e alla Croce Rossa. Solo il nostro presidio era costato circa 40mila euro. Senza considerare la distruzione degli impianti di video-sorveglianza».
Al centro delle polemiche finisce l’assessore alle Politiche sociali del Campidoglio, Rita Cutini. Docente universitaria vicina alla comunità di Sant’Egidio. Nella gestione della vicenda nomadi, sono in molti a lamentare l’assenza di una strategia precisa da parte della giunta Marino. «L’assessorato? È un muro di gomma — sussurra una fonte vicina al Campidoglio — da parte di questa amministrazione non c’è alcun tipo di progettualità per la questione rom. Almeno Alemanno, con tutti gli errori che ha fatto, dialogava e incontrava personalmente le comunità, anche scavalcando le cooperative e le associazioni che da sempre operavano nell’ambito». Solo cattiverie? Tra critiche e dubbi sulla gestione emergenziale, neanche Linkiesta riesce a raggiungere l’assessore Cutini. A una richiesta di intervista, la portavoce rifiuta cordialmente. «Al momento non è possibile, dobbiamo risentirci più in là perché prima vogliamo risolvere la questione del bilancio al sociale». Evidentemente non c’è tempo per rispondere alle domande.
Marco Fattorini e Marco Sarti, Linkiesta 14/7/2014
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Spesso gli zingari si trovano ai margini della società e a volte sono visti con ostilità e sospetto». Se l’è presa con i romani Papa Francesco. «Mi ricordo tante volte qui a Roma, alcuni zingari salivano sul bus. E l’autista diceva: “Guardate i portafogli”. Questo è disprezzo, sarà anche vero, ma è disprezzo». Per i nomadi della Città Eterna, la difesa più autorevole e rumorosa è arrivata direttamente dal Vaticano. L’ennesima rivoluzione del Pontefice. Perché nella Capitale la diffidenza verso le comunità rom è seconda solo all’ignoranza. I campi nomadi sono un mondo sconosciuto. Città nella città, microcosmi autosufficienti nelle regole e nella prassi. All’interno degli insediamenti sono state sequestrate locande che smerciavano bibite, persino panifici abusivi allestiti nelle baracche. Najo Adzovic era il portavoce del Casilino 900, il campo più grande d’Europa (prima dello sgombero nel 2010). Oggi vive tra i container di via di Salone, periferia orientale della Capitale. Camicia bianca e scarpe sportive, in un buon italiano parla del «tribunale popolare» all’interno degli insediamenti. Una forma di giustizia parallela. Secondo un’antica tradizione, la procedura è rigorosa. Quando una persona infrange le regole, il consiglio degli anziani - «i saggi» - si riunisce per decidere le sanzioni. La più grave è l’allontanamento dal campo. Una nazione in miniatura, con i suoi giudici e le sue leggi. Adzovic racconta i matrimoni combinati tra le famiglie, le doti e le ragazzine promesse in sposa. Regole valide «solo per alcune etnie e non per tutti i rom», ci tengono a sottolineare a via di Salone.
Il futuro degli insediamenti resta un mistero. «Ormai il sistema dei campi fa acqua, è logico che vadano superati» spiega un dirigente del Campidoglio che si occupa dell’emergenza nomadi. «Ma l’integrazione non è cosa facile». Tante le differenze con gli italiani. Forse troppe? «Una volta abbiamo proposto a marito, moglie e figli di trasferirsi in un appartamento. Hanno rifiutato perché volevano una casa anche per nonni, zii, cugini e altri parenti. Hanno un altro concetto di famiglia». Il desiderio di normalità fa il paio con le recriminazioni di un presente grigio. Adzovic è deluso: «Questi campi dovevano essere villaggi di passaggio e invece siamo all’abbandono. La scolarizzazione non funziona, vengono gli scuolabus e salgono pochi bambini. Gli sportelli sociali presenti negli accampamenti non ci danno lavoro. Servirebbe un presidio h24 delle forze dell’ordine. E invece oggi i campi sono terra di nessuno dove vince il più forte». All’interno dei campi si trova anche chi di motivi per soggiornare a spese della collettività non ne avrebbe. Nel 2013 le forze dell’ordine hanno scoperto conti correnti, gioielli e depositi titoli per dieci milioni di euro. Altri due milioni a gennaio 2014. Persone che al dipartimento Politiche sociali del Comune si presentavano come indigenti e ottenevano alloggio nei moduli abitativi, utenze gratuite (acqua, elettricità, gas) ed esenzione dalla tassa sui rifiuti nei villaggi attrezzati della Capitale. Polizia Locale e Guardia di Finanza hanno smascherato un centinaio di “Paperoni” e a maggio sono state notificate alcune revoche di assegnazione degli alloggi.
Popoli e legalità, incontro e compromesso. Parlando della difficile convivenza all’interno dei campi, il vicecomandante della Polizia Locale di Roma Capitale Antonio Di Maggio ripercorre una fetta di storia: «Durante la guerra in Jugoslavia ci sono stati forti conflitti tra etnie, soprattutto bosniaci contro serbi. Si è arrivati allo scontro fisico, coltelli e bastoni, tanto che alcuni dei nostri agenti sono stati feriti cercando di separare i contendenti». Il tempo non ha guarito tutte le ferite. Nazionalità e culture continuano a incontrarsi, spesso forzatamente. Dopo gli sgomberi di insediamenti abusivi, decine di nomadi sono stati ricollocati in campi già abitati. Rom, sinti, caminanti. Bosniaci, serbi, macedoni, romeni. L’ambientamento non è stato sempre immediato. Najo Adzovic non si nasconde: «I villaggi di Roma sono diventati incontrollabili dal punto di vista dell’ordine e della sicurezza. Chi è più forte, cioè i criminali, minaccia le famiglie più deboli che vogliono integrarsi e lavorare. Negli accampamenti ci sono dei kapò, anche perché questa amministrazione non ha dato il potere a 360 gradi a chi di dovere, soprattutto alla polizia di Roma Capitale, di intervenire e creare la giusta sicurezza». Pochi giorni fa sua figlia di 22 anni è stata aggredita. «L’hanno sfregiata. I carabinieri hanno fermato un uomo con precedenti penali, che non abitava in questo accampamento. Ma un giudice ha deciso di liberarlo. Adesso non sappiamo dove si trova, la notte non possiamo neanche dormire perché abbiamo paura che torni ad ammazzarci. Che giustizia è questa?». Segue uno sfogo che si fa appello. «Siamo ritornati al far west. Trent’anni fa nei campi si aveva rispetto per donne e bambini. Oggi non c’è rispetto per nessuno. Nei campi c’è un’alta percentuale di tossicodipendenti. Non c’è più la microcriminalità per fame, ma la criminalità organizzata. Il prefetto e il sindaco devono prendersi la responsabilità di ripristinare ordine e sicurezza dentro questi accampamenti. Siamo a una situazione di non ritorno».
Ma quanti sono i nomadi a Roma? Difficile avanzare stime precise. La Polizia locale di Roma Capitale ha censito 4.851 persone all’interno dei sette villaggi attrezzati e dei due tollerati. A queste si aggiungono i 6.900 nomadi trovati nei quasi duecento campi abusivi individuati dal 2013 a oggi. L’insediamento più grande è quello di Candoni. Sorge nella periferia meridionale della città, tra via Portuense e la Magliana. Qui vivono circa mille nomadi, divisi in due settori (uno per la comunità di origine bosniaca e uno per quella romena). A denunciare la situazione critica del campo è l’associazione 21 Luglio, da sempre legata alle comunità rom e sinti. «Le condizioni strutturali dell’insediamento - si legge sul sito - appaiono in cattivo stato. Le abitazioni consistono in case-container particolarmente deteriorate e con spazi interni insufficienti ad accogliere le persone che vi risiedono». Eppure solo lo scorso anno i contribuenti hanno speso per il campo di Candoni circa 2.400.000 euro.
Almeno 900 rom vivono nell’insediamento di Castel Romano, lungo la via Pontina. È uno dei campi più “difficili” della città, anzitutto per chi ci vive. Il villaggio è distante oltre 30 chilometri dal centro, senza per questo essere servito da mezzi di trasporto pubblico. Per tenere in funzione l’insediamento, nel 2013 il Campidoglio ha investito 5,5 milioni di euro (quasi 150mila solo per la bolletta della luce). I report ufficiali della Polizia locale di Roma Capitale descrivono una realtà preoccupante. «Sta aumentando la situazione di estremo degrado già presente da tempo - si legge - Tale condizione è dovuta all’aumento dei camper abusivi e da persone che quotidianamente abbandonano ogni sorta di rifiuto e bruciano rame creando un ambiente malsano ad altissimo rischio ambientale e sanitario». I vigili denunciano la presenza di una discarica abusiva «con presenza di circa 30-35 carcasse di veicoli e/o parti di veicoli fuori uso» nella zona adiacente al villaggio, all’interno di un’area protetta del parco naturale “Decima Malafede”. Non solo. Il vicecomandante della Polizia locale Antonio Di Maggio parla apertamente di «fenomeni legati allo spaccio di stupefacenti». Senza considerare che proprio dal campo di Castel Romano «partono quotidianamente per il centro di Roma diverse borseggiatrici minorenni».
Difficile verificare le accuse. Seppure è indubbia la massiccia presenza di nomadi alla stazione Termini. Tra i binari dello scalo ferroviario si offrono come facchini, salgono e scendono dai Frecciarossa con i bagagli dei viaggiatori, meglio se turisti. Presidiano le biglietterie automatiche per aiutare i passeggeri, quasi sempre dietro compenso. Gruppi di decine di persone. Uomini e donne, adulti e ragazzi. Solo pochi giorni fa - così scrivevano i principali quotidiani locali - i carabinieri hanno arrestato 4 persone e ne hanno denunciate 21 per una serie di borseggi. Alcuni dei fermati venivano dal campo de La Barbuta. È il più recente. Creato nel 2012 da Alemanno, oggi ospita 550 nomadi di origine macedone e bosniaca. Anche qui la convivenza non è sempre semplice. «La spazio interno all’insediamento - conferma l’associazione 21 Luglio - presenta diverse criticità, principalmente dovute a forme di convivenza forzata tra famiglie eterogenee tra loro e in una condizione di particolare fragilità sociale». Nei pressi del campo la Polizia locale di Roma Capitale ha recentemente sequestrato due discariche abusive. Mentre alcuni interventi «di messa in sicurezza con rimozione dei rifiuti da parte del Dipartimento Tutela ambiente e del Verde (in questa zona sono state sequestrati circa 700 chili di eternit, ndr)» sono costati al Campidoglio quasi 300mila euro. A La Barbuta opera anche la Croce Rossa. Una presenza non priva di polemiche: recentemente il modulo abitativo assegnato alla Cri all’interno del campo è stato preso di mira da ignoti. Qui sono stati rubati alcuni computer (mentre altri presìdi, come quello della vigilanza, sono stati dati alle fiamme). «Il campo è ormai fuori controllo - si è sfogato il presidente della Croce Rossa di Roma Flavio Ronzi - Non c’è alcuna regola degna di un campo cosiddetto attrezzato. Da mesi attendiamo risposte dall’assessore Cutini ma fino ad ora abbiamo ascoltato solo silenzio. Un silenzio assordante che lede la dignità di tutti coloro che vivono e lavorano nel Villaggio».
Dai campi alla città. Nelle strade di Roma non è difficile incontrare nomadi che, a tutte le ore del giorno, passano al setaccio i cassonetti spingendo passeggini adibiti a carrelli. Quello dei rifiuti è un business silenzioso ma enorme. Da una parte indumenti, oggettistica e utensili che finiscono nei mercatini abusivi della Capitale. Dall’altra il materiale metallico selezionato e rivenduto al chilogrammo. Non si butta via niente, si smaltiscono persino elettrodomestici e altri rifiuti ingombranti, che alcune aziende preferiscono affidare ai nomadi invece di seguire la prassi ordinaria. Spiega il vicecomandante Antonio Di Maggio: «Molti soggetti si offrono di svuotare le cantine dei privati e poi nelle adiacenze dei campi ammassano gomme, batterie, materassi. Materiale di ogni genere». Con roghi tossici annessi. Un report del gruppo di Sicurezza Pubblica ed Emergenziale parla di «accertata attività di gestione illecita di rifiuti» nei pressi degli insediamenti, «abbandono e smaltimento anche mediante incenerimento a terra», «ricettazione di parti di automezzi».
Un altro business è quello del rame, l’oro rosso della Capitale. Insieme ad altri metalli è oggetto del desiderio per una compravendita sotterranea. Dai lampioni alle ferrovie, in alcuni casi i tombini e le scale mobili delle stazioni di periferia. All’altezza del campo “tollerato” di via Salviati le telecamere della Polfer hanno documentato il furto dei pannelli di alluminio e rame lungo la linea ferroviaria Tav. Emblematico il caso di un Frecciarossa costretto a fermarsi, col macchinista che scende a controllare la situazione dei binari. La Polizia locale prova a giocare d’anticipo: tra luglio 2012 e febbraio 2014 sono una quarantina gli autocarri e veicoli sequestrati nei pressi di cinque accampamenti romani, oltre ad alcuni terreni vicini adibiti a discariche abusive. «Negli ultimi anni - si legge in un recente rapporto della squadra di Di Maggio - si è assistito ad un aggravamento delle situazioni di degrado sia all’interno dei villaggi che nelle aree limitrofe. Spesso tali villaggi risultano collegati con le comunità di soggetti dimoranti all’interno di insediamenti abusivi radicati nel territorio». La situazione di degrado, scrive ancora la Polizia locale, sembra «strettamente connessa alle attività antropiche e in particolare alle attività di gestione rifiuti esercitate in forma imprenditoriale da alcuni gruppi familiari ivi dimoranti». Rilievi circostanziati, dettagli preziosi. Il timore è che in Campidoglio non li abbia ancora letti nessuno.
Marco Fattorini e Marco Sarti, Linkiesta 15/7/2014