varie, 14 luglio 2014
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 14 LUGLIO 2014
Tra il 7 e l’8 luglio Israele ha ripreso l’offensiva aerea contro la Palestina. Bilancio in poco meno di una settimana: con oltre 1.100 raid Israele ha ucciso più di cento civili, causato circa 750 feriti e distrutto più di mille case [1].
Hamas avrebbe deciso di avviare l’offensiva contro Israele dopo l’uccisione di Mohammed Abu Khedair, il ragazzino bruciato vivo da un gruppo di ebrei. Il 30 giugno Netanyahu aveva attribuito ad Hamas l’uccisione di tre ragazzi israeliani rapiti e metà giugno a Hebron, in Cisgiordania. Lucio Caracciolo: «A compiere quel crimine sono probabilmente stati alcuni killer della tribù dei Qawasameh che si dedica da tempo a compiere attentati per screditare la leadership di Hamas ogni volta che questa cerca di costruirsi una qualche legittimità internazionale. Una scheggia, non un referente militare della peraltro divisa leadership di Gaza» [2].
Hamas e al Fatah sono in crisi da tempo, tant’è che recentemente hanno tentato di riconciliarsi. Scrive Caracciolo: «Entrambe le sue leadership storiche sono in agonia. Per questo hanno dovuto inventare un improbabile “governo” di unità nazionale. Abu Mazen si era ridotto a fare il poliziotto per conto di Netanyahu, venendo per ciò remunerato e vezzeggiato da europei e americani. Ma la pax cisgiordana degli ultimi anni, culminata nel record del 2012, è stata minata dal recente assassinio di tre ragazzi israeliani e dalle rappresaglie che ne sono seguite. In questa vicenda è venuta in piena luce la crisi di Hamas, che ha perso il controllo di centinaia di gruppuscoli jihadisti o financo “lupi solitari” che agiscono in proprio ma sono in grado di condizionare le agende altrui, Israele incluso» [2].
Lo scorso marzo il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e il segretario generale della Iniziativa Nazionale Palestinese, Mustafa Al-Barghouthi, si erano detti d’accordo con Hamas per interrompere i negoziati: «Aiutano i crimini di Israele». Posizione raccolta da Khaled Mashaal, capo dell’ufficio politico di Hamas che il 9 luglio scorso ha invitato «tutte le fazioni della resistenza a coordinarsi e unirsi nella battaglia in difesa del nostro popolo contro l’aggressione» [1].
Tuttavia Ansel Pfeffer fa sapere sul quotidiano israeliano Ha’aretz: «Hamas deve affrontare le minacce crescenti dei salafiti che vorrebbero ripetere i successi ottenuti in Iraq». [3] Alberto Negri sul Sole 24 Ore: «I jihadisti si fregano le mani: tra un po’ l’Isil potrebbe arrivare sul Golan e i califfati per quanto utopici possano essere, son assai più pericolosi e imprevedibili di un vecchio nemico. Marx scrisse che la storia si ripete due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa: in Medioriente anche la seconda si presenta come tragedia» [4].
Da mesi Hamas non paga i dipendenti pubblici di Gaza perché non ha i soldi. Solo un abitante su tre al momento può pagarsi il pranzo «Gli altri – dice a le Monde Maher, proprietario di un piccolo supermercato – mangiano a credito». Da Gaza non si può scappare. Anche l’Egitto di Al-Sisi, fervido nemico di Hamas, ha chiuso i tunnel di confine. [4]
La maggior parte degli abitanti vive con meno di due dollari al giorno e la disoccupazione supera il 50%. Periodiche chiusure delle frontiere da parte di Israele per questioni di sicurezza hanno drasticamente ridotto l’accesso al lavoro.
Questa guerra dura ormai da quasi settant’anni, dalla Nakba, la «Catastrofe palestinese» quando 800 mila abitanti furono cacciati dal territorio oggi conosciuto come Israele. Poi nel 1967 ci fu la Guerra dei sei giorni, con la quale Israele conquistò la Striscia di Gaza. Negli anni ’80 Israele invase due volte il Libano meridionale, dove l’Olp aveva la propria base, costringendo alla fuga i vertici dell’Organizzazione. «Chi non poté fuggire alla furia sionista furono però gli abitanti dei campi profughi: le armate comandate da Ariel Sharon, in 48 ore di sanguinosa tregenda, massacrarono senza pietà le migliaia d’abitanti disarmati» [5].
Nel 1987, la prima Intifada (“scossone”), «condotta eroicamente da un popolo intero, che dagli uomini armati di kalashnikov, fino ai bambini armati di pietre, combatte con pochi mezzi contro i potenti carri armati israeliani. Ma questa volta le armate sioniste sono costrette a ritirarsi. Israele deve scendere a compromessi con l’Olp» [5].
Fu proprio nel 1987 che nacque Hamas, un movimento di liberazione nazional-religioso, ala dei Fratelli Musulmani degli anni Trenta, finanziato per lungo tempo dall’Arabia Saudita, poi dall’Iran. Era un gruppo di resistenza fondato da Ahmed Yassin, uno sceicco tetraplegico ucciso nel 2004 da un raid israeliano. Dal 1994 Hamas decise di operare attraverso il terrorismo: attentati suicidi, autobus che saltano per aria, bar che esplodono a ogni angolo delle città israeliane. Il loro obiettivo è troncare gli accordi di Oslo. Arrivare alla terza Intifada [5].
Alle elezioni del 2006 Hamas vince con il 44% circa dei voti, contro il 41 di al Fatah. Prende il controllo della Striscia di Gaza. Da allora Israele ha chiuso i suoi confini [1].
Scrive Molinari sulla Stampa: «Perché i palestinesi votano, in maggioranza, Hamas? Solo per protesta contro la corruzione crescente dentro l’Anp? Troppo semplice. Gli elettori scelgono anche la proposta politica lanciata da un movimento che, nelle pieghe dell’occupazione israeliana dei Territori palestinesi e del fallimento del processo di pace, ha continuato a lavorare. Soprattutto a Gaza. I quadri di Hamas vivevano nei campi profughi, frequentavano le moschee che frequentava la gente, conoscevano le condizioni di vita di tutti, si occupavano di servizi sociali e di ospedali. Erano, come molti leader e militanti usano dire, al “servizio del popolo”» [6].
Ma oggi Hamas è veramente sola. Nessuno vuole fare da mediatore: «Il nuovo regime egiziano, odia Hamas per i suoi legami con i Fratelli Musulmani, Erdogan non ha intenzione di mediare [...] ha questioni più urgenti da risolvere in Siria e in Iraq mentre gli Usa non sono disposti a trattare con Hamas». Al suo fianco ha solo i jihadisti islamici [7].
Lo scrittore ebreo Marek Halter scrive su Repubblica che non sono le milizie di Hamas che lanciano razzi contro Israele: «In Medio Oriente è improvvisamente apparso un nuovo attore, una figura inaspettata, che non rispetta le regole. Sto parlando di Abu Bakr al Baghdadi […] Al Baghdadi ha una strategia ben precisa. Scatenare l’inferno a Gaza è il diversivo che gli consentirà di penetrare in Giordania. Mentre Israele combatte o invade la Striscia, lui potrà tranquillamente dirigersi verso Amman per realizzare il sogno del califfato, un progetto tutt’altro che assurdo […] L’ultima volta che incontrai Khaled Meshal, il capo di Hamas, mi disse anche che era giunto il momento di negoziare con Israele, perché nella Striscia stavano nascendo falangi jihadiste, le quali non avrebbero mai trattato con lo Stato ebraico. Ebbene, a Gaza sono proprio quei gruppi paramilitari, molto più radicali di Hamas, che oggi stanno mettendo il fuoco alle polveri» [8].
Lucio Caracciolo: «Il Grande Medio Oriente si sta disintegrando. Dal Nordafrica al Levante e all’Afghanistan, trovare qualcosa che assomigli a uno Stato o anche solo a un numero di telefono contro cui vomitare minacce o con il quale tessere compromessi è impresa assai ardua. Le “primavere arabe” e le controrivoluzioni di marca saudita non hanno finora prodotto nuovi equilibri, ma guerre, miseria, precarietà. Valgano da paradigmi di questa Caoslandia il golpe egiziano con tentativo tuttora in corso di annegare nel sangue la Fratellanza musulmana; la disintegrazione della Libia; il massacro della Siria; la mai spenta guerra civile in Iraq che in ultimo ha visto riemergere le tribù sunnite e i vedovi di Saddam, insieme ai jihadisti dell’Isis, inventori dell’improbabile “califfato” di Abu Bakr al-Baghdadi. Sullo sfondo il rischio che anche la Giordania, battuta da cotante onde sismiche, finisca per crollare» [2].
Note: [1] tutti i giornali del 12/7; [2] Lucio Caracciolo, la Repubblica 10/7; [3] Ansel Pfeffer, Internazionale 11/7; [4] Alberto Negri, il Sole 24 Ore 12/7; ; [5] La Nazione Eurasia, anno II, La Lotta della Palestina. Omaggio a Yasser Arafat; [6] Maurizio Molinari, La Stampa 12/7; [7] L’Internazionale 11/7; [8] Marek Halter, la Repubblica 11/7