Alberto Asor Rosa, la Repubblica 14/7/2014, 14 luglio 2014
IL 900 DELLA BUR E DEI GETTONI
Eccellente l’idea di ricostruire la storia letteraria d’Italia nel Novecento (e oltre) passando attraverso schede sintetiche ma generalmente esaurienti di quelle che sono state nel merito le principali “collane” editoriali dell’epoca. È accaduto a Gian Carlo Ferretti e Giulia Iannuzzi con Storie di uomini e libri, ossia, come forse più esaurientemente precisa il sottotitolo: L’editoria letteraria italiana attraverso le sue collane (minimum fax). Per “collana” si intende uno spazio riservato nella produzione libraria di un editore e dotato di caratteristiche sostanzialmente omogenee: poesia, narrativa, antropologia, critica letteraria, storia, ecc. Gli autori di questo libro hanno concentrato, come già si diceva, le loro attenzioni alle collane di carattere fondamentalmente letterario, senza peraltro escludere del tutto interessi tangenziali e collaterali.
Se ne produce, e se ne ricava, una sostanziale omogeneità dei discorsi d’impostazione e delle schede relative, sicché, sia che lo si legga per esteso, titolo dopo titolo, oppure saggiando qua e là la consistenza delle singole informazioni, il quadro che ne risulta è di grande precisione e per giunta esposto in modo piacevole e spesso affascinante (del resto, non ci si poteva aspettare di meno da uno studioso come Gian Carlo Ferretti, che è uno dei nostri più competenti conoscitori delle vicende editoriali — e la più giovane e meno nota Giulia Iannuzzi lo segue senza difficoltà su questo terreno).
Le collane chiamate in causa — e dunque le schede relative — sono quarantacinque. Un bel numero, per affidarvisi con la persuasione che esso stia a significare un disegno complessivo abbastanza attendibile nel periodo che va, grosso modo, dalla fine del XIX agli inizi del XXI secolo: più precisamente, dalla Biblioteca amena del milanese Treves al (non so come dire) torinese-romano Stile libero di Einaudi.
Le principali collane letterarie di questa fase storica — ovvero, per dirla con gli autori, quelle «ritenute più significative e funzionali per l’impostazione di partenza » — vi sono elencate quasi tutte, anche con precisi riferimenti (come già accennavamo) alle altre branche di produzione delle case editrici di appartenenza, laddove questo sia possibile e necessario.
Ma il discorso non si ferma qui, anzi, si potrebbe dire che da qui solo comincia. E cioè: le collane letterarie, come ovviamente per altri quelle di altra natura, rap-
presentano le corsie fondamentali delle esperienze di lettura e di letteratura, sulle quali ognuno di noi, senza eccezione alcuna, ha formato il proprio gusto, le proprie scelte, il proprio modo di leggere (gli “uomini” chiamati in causa da questo felice titolo sono,
immagino, sia quelli che fanno i libri sia quelli che li usano: o no?). Inoltre sollecitano la memoria: in taluni casi ne diventano occasioni e strumenti insostituibili.
Faccio alcuni esempi. Chi è in grado di ricordare fra i miei lettori
la possente funzione socioculturale svolta dalla Biblioteca Universale Rizzoli (poi la leggendaria BUR) appena nata, ossia negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale? Ho qui davanti a me due libretti della, appunto, BUR originaria
(poi si sarebbe fatta più raffinata e perciò, forse, meno insostituibile), nella loro veste spoglia e grigetta, introduzioni sintetiche e anonime, commento scarsissimo. Sono i Canti di Giacomo Leopardi e le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo,
al prezzo, ognuno, di lire cento (cinque centesimi di euro, se non erro), ambedue prima edizione nella collana, 1949, autori e testi fino allora a me ignoti, se non per sentito dire. Nel 1949 io avevo sedici anni, e le cento lire rappresentavano la mia paghetta fami-
gliare settimanale (così andavano le cose, assai frequentemente, allora)... Furono acquistati alla fine della prima liceo (per l’influenza anticipatrice di un antiquato ma eccellente professore d’italiano) e letti nel corso dell’estate successiva — non vorrei esagerare in un’apologia romanticheggiante, — sotto gli ulivi del materno paese contadino di Artena. Sono, constato, fittamente sottolineati. Anche questo può sembrare un’esagerazione: ma nessuno dimentica come e dove ha cominciato (qualsiasi cosa, s’intende, figuriamoci Foscolo e Leopardi!).
E i Gettoni Einaudi, cosa si può dire dei Gettoni Einaudi? Nella mia ricostruzione sono passati alcuni anni dal 1949 (pochi), e ci si comincia ad affacciare alle soglie dell’ancora più ignoto ma affascinantissimo mondo della contemporaneità, ed ecco Vittorini venirci incontro con la sua intelligente proposta e le sue suggestioni inconfondibili (Dio mio, che colossi di letterati, e di uomini, capitava d’incontrare allora!). Dal catalogo generale Einaudi (2013) ricavo che i Gettoni pubblicati (fra il 1951 e il 1959, ma prevalentemente, mi pare, fra il ‘52 e il ‘56) furono cinquantotto. Io d’“epoca”, ne possiedo diciotto. L’acquisto cominciò (onestamente non so come) nel 1951 con La banda di Döhren di Pietro Sissa (un libro formidabile sulla prigionia dei soldati italiani in Germania, perché non ripubblicarlo?), e si chiuse nel 1956 con Fumo, fuoco e dispetto di Francesco Leonetti. Ma è quel che c’è in mezzo a dar senso per me (e, potrei testimoniarlo, per tanti altri giovani di quel tempo)
alla fondamentale esperienza: Cassola, Fenoglio, Ortese, Rigoni Stern!, e, per me soprattutto, Calvino, Il visconte dimezzato (1954) e L’entrata in guerra (1954) che io lessi in perfetto parallelo con Il sentiero dei nidi di ragno , nella terza edizione, anch’essa,
appunto, del 1954, apparso nella Piccola Biblioteca Scientifico-letteraria (altra straordinaria invenzione, in quegli anni, della Giulio Einaudi editore). Solo pochi anni dopo, nel 1958, avrei scritto il mio primo (in assoluto) saggio d’impegno, su Calvino, per l’appunto, della Speculazione edilizia .
Senza l’introibo dei Gettoni, come avrei potuto? Si capisce bene che, imboccata questa strada, la si potrebbe percorrere all’infinito. Per chiudere il discorso, e anche in qualche modo arricchirlo, vorrei chiamare in causa due altri esempi, che la pur ricca scelta di Storie di uomini e libri non contempla, il primo di un lontano passato, l’altro ancora presente.
Il primo riguarda la prestigiosa collana Classici del ridere, frutto prezioso e assolutamente inconfondibile di quella casa editrice che prendeva il nome dal suo fondatore, proprietario, direttore editoriale e factotum, e cioè Angelo Fortunato Formiggini (morto suicida, per colmo di ironia, nel 1938, quando l’adozione delle leggi razziali da parte del fascismo gli diedero la certezza che non avrebbe più potuto continuare le sue sapienti e divertenti alchimie editoriali): settanta- ottanta titoli (ma vado a occhio), apparsi fra gli anni ‘20 e i ‘30 del secolo scorso — Boccaccio, Rabelais, Petronio, Quevedo, Heine, Luciano, Machiavelli, Tassoni, ecc. ecc. — pubblicati in una raffinatissima veste grafica, di cui varrebbe la pena d’investigare le tracce e le origini nella contemporanea ricerca artistica e letteraria italiana ed europea. Mio padre ne aveva messo insieme un campione consistente con un rigoroso esercizio di “spending review” sul proprio magrissimo bilancio impiegatizio e lo conservava gelosamente in una libreria a vetri, da cui i singoli volumi venivano estratti con religiosa devozione.
Il secondo e ultimo esempio riguarda i Millenni einaudiani — bellissima veste, straordinarie curatele, piuttosto cari — i quali rimettono in circolazione, con eccessiva, secondo me, parsimoniosità editoriale, testi rari oppure non mai modernamente ristampati.
Chi li riceve (gratis) dall’editore ne trae indubbiamente un grandissimo giovamento. Anche su questo terreno «alto», anzi «altissimo», si potrebbero costruire intrecci e giochi infiniti fra collane. Ho letto per la prima volta Cento anni di Giuseppe Rovani nei quattro volumetti della Bur, 1960, rovinandomi la vista per la microscopica piccolezza dei caratteri. Ora potrò rileggermeli, quando ne avrò voglia, con grande agio nella bellissima edizione dei Millenni, curata da Folco Portinari e Monica Giachino (2005).
Un’altra volta, ahimé, parleremo delle non raramente belle collane dei piccoli editori. Per esempio, la Filigrana di minimum fax, in cui sono apparse le Storie di uomini e di libri , elemento scatenante di tutto il discorso.