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 2014  luglio 14 Lunedì calendario

Super Mario Götze, ovvero come diventare eroe a soli 22 anni. Ha infilzato il portiere argentino Romero e ha fatto diventare la Germania campione del mondo, per la quarta volta

Super Mario Götze, ovvero come diventare eroe a soli 22 anni. Ha infilzato il portiere argentino Romero e ha fatto diventare la Germania campione del mondo, per la quarta volta. Ha dichiarato: «È incredibile. Ho segnato e non ho più capito cosa stava succedendo. Non è stato un campionato facile per me. Devo molto ai miei amici e alla mia famiglia». La sua fidanzata Ann-Kathrin Brommel è una modella di lingerie, con l’ambizione di cantare e diventare una popstar. Il suo nome d’arte è Trina B, e sostiene di avere una voce simile a Beyoncé. Alla fine della partita c’è stata una vera e propria invasione di campo delle “wags”, modelle, mogli, fidanzate, e figli eventuali dei calciatori. Oltre all’incursione della Merkel negli spogliatoi. ALTRO CHE MESSI: L’UOMO DEL MONDIALE È MARIO GÖTZE, IL BAMBINO DEI RECORD - Giulia Zonca per La Stampa Il primo Mondiale a Germania unificata arriva da un bimbo del postcomunismo. Mario Götze è nato il 3 giugno 1992, dopo tutto. A muro caduto, a governo ristabilito, a squadra rimescolata e a Mondiale già abbondantemente vinto. Non ha ricordi pregressi e firma il successo atteso 24 anni, quello di una Germania senza divisione e senza limiti. Sono i campioni del Mondo e la squadra multietnica e multigenerazionale che mescola il 36enne Klose con il giovane Götze. Il più precoce ad esordire nella Manschaft, nel novembre 2010, contro la Svezia, ed era dai tempi del leggendario Uwe Seeler (1954) che in Germania non si trovavano davanti a un talento così: fresco e già evidente. Brucia ogni tappa, segna un gol con la Germania un anno dopo il debutto, altro primato, e va avanti così, sulla strada dello stupore. Si merita il premio Fritz Walter, medaglia al valore consegnata solo a chi ha il coraggio di tirare fuori i numeri da adolescente. Lui è indifferente ai complimenti e immune alle trappole delle aspettative, del resto esce dall’accademia del Borussia Dortmund nota per temprare i giovani e abituarli al muro, non quello di Berlino, ma quello della curva di casa, nello stadio dove di media la Germania vince sempre. Solo l’Italia nel 2006 è riuscita a prendere la fortezza. E Götze ancora non c’era. Già convocato agli Europei 2012, è diventato famoso con un colpo di mercato: nel 2013 è passato dal Borussia al Bayern Monaco per una cifra record: 37 milioni di euro, il tedesco più pagato di sempre e uno degli scambi più contestati proprio perché lui era il pupillo di casa, con due Bundesliga vinte grazie alla maglia che lo aveva cresciuto. In tanti lo hanno chiamato tradimento, parola difficile se hai 20 anni e le spalle non ancora troppo larghe. Ha incassato e macinato chilometri, centrocampista offensivo, ruolo che lo ha sempre lasciato un po’ ai margini della tattica disegnata da Löw. In qualificazione ha realizzato quattro gol e preteso fiducia, ai Mondiali ha firmato la rete decisiva contro il Ghana e poi si è preso il Maracanà. L’apoteosi. Un trucco, una vittoria storica con una faccia da bambino. Travolto dai compagni che lo hanno fatto rotolare per il campo neanche fosse una mascotte, altro che Neymar, posterboy di una squadra di burro. Götze è un concentrato di energia tirato fuori quando l’ossigeno ormai stava per finire. Per tutti. Per la Pulce era già finito prima. Forse aveva ragione papà Jorge: «Messi arriva alla finale prosciugato» e quello che sembra un allarme scaccia critiche dopo la prestazione opaca contro l’Olanda diventa la realtà. Messi è stanco e fatica a entrare in gara, vomita, cosa che succede spesso però stavolta non è una liberazione dall’ansia: è solo un’altra prova dello sfinimento. E non è il solo che prova a grattare le ultime energie dopo un mese vissuto pericolosamente. La Germania ha esaurito il fisico e Khedira la resistenza. Rientrava da un infortunio, Löw lo ha spremuto e non ha mai potuto dargli tregua così nella partita più importante lo perde addirittura nel riscaldamento e la sua assenza si sente. Germania-Argentina è l’epilogo di un mondiale rutilante, dispendioso. Nessuna missione facile, troppe sorprese sulla strada per pensare di staccare la spina in qualificazione e il livello alto unito all’atmosfera contagiosa hanno forse esaltato i protagonisti che non si sono risparmiati mai. C’era sempre un motivo per brillare: la prima al Maracanà per Messi, l’uscita contro Klinsmann per Löw. E mai nessuno che si arrendesse facile tranne il Brasile. Quando ormai la finale viaggiava con il pilota automatico pronta a spiaggiare verso i rigori. Götze ha dato la scossa, un bambino iperattivo in una partita già stravolta. E niente lacrime, solo festa.