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 2014  luglio 12 Sabato calendario

L’ORGOGLIO DI COLLINA

«Pallone, maglietta di Ronaldo e Hamann, il piacere di aver svolto il mio compito nel migliore dei modi e la felicità di ritornare a casa dopo 6 lunghissime settimane». Ecco quello che resta di una finale Mondiale 12 anni dopo: Pierluigi Collina l’ha diretta il 30 giugno 2002 (ed è stato nominato Commendatore per meriti sportivi dall’allora presidente Ciampi), certificando con il triplice fischio l’ultima vittoria del Brasile, doppietta del Fenomeno, e l’ennesima delusione della Germania. Ora il testimone tricolore passa a Nicola Rizzoli, un «suo ragazzo» fatto crescere prima in Italia e poi in Europa, tanto da affidargli l’ultimo atto della Champions 2013. Ma la Coppa del Mondo è la Coppa del Mondo. Collina la gara più difficile e importante l’ha diretta con tranquillità, preparata come metodi allora innovativi e oggi di routine. Già, perché il mondo va veloce, compreso quello arbitrale. I fischi di Yokohama sembrano quasi usciti dal giurassico: non c’erano auricolari per confrontarsi coi collaboratori (di nazionalità diversa), niente addizionali o tecnologia, per non parlare dello spray. Di uguale è rimasta l’attesa prima e la gioia dopo la designazione. E allora ricordi, curiosità e qualche consiglio per Rizzoli. Sono il succo di una chiacchierata con Collina, tra le incursioni della nipotina Charlotte, i problemi di un trasloco appena fatto e il pensiero della nuova stagione Uefa («Partiremo con la Supercoppa e poi raduno a Nyon a Ferragosto»).
Domani al Maracanà toccherà a Rizzoli gestire Germania-Argentina: motivo d’orgoglio per lei ex designatore italiano e ora all’Uefa?
«È un risultato importante per la Uefa. La scelta era tutt’altro che scontata, anche considerando la scelta di un altro europeo, Webb, nella finale 2010. Nicola fa bene a godersi il momento, mi ha chiamato appena saputa la notizia: è in una fase dove prevale l’euforia e la soddisfazione. È giusto che celebri questo risultato con chi gli vuole bene. Da domani (oggi, ndr ) avrà modo di concentrarsi sulla finale e di prepararsi al meglio. E magari ci risentiremo per una chiacchierata generale. A Rio scenderanno due grandi nazionali, sarà una partita molto impegnativa, ma sono convinto che Rizzoli… Beh, non aggiungo altro per scaramanzia».
Che consigli gli darà nella prossima telefonata?
«Di essere se stesso, senza pensare di dover cambiare qualcosa. Nicola è un vero professionista, non lascia mai nulla al caso. Piuttosto vorrei ricordare che se è arrivato in finale il merito è pure di Faverani e Stefani: formano una grande squadra, senza due assistenti di primissimo livello i grandi traguardi sono preclusi».
Come si prepara la partita più importante della vita?
«Credo sia utile mantenere le proprie abitudini, non si può certo improvvisare. Scaramanzie? Cose personali: amavo dormire il pomeriggio prima di una gara. L’ho fatto pure il giorno della finale».
Pisolino e basta?
«No, ovvio. Avuta la designazione ho subito chiesto alla Fifa di procurarmi i video delle partite di Germania e Brasile. Alcune le avevo viste in tv, ma da quel momento era necessario studiare bene movimenti e schemi, poi visionati in una grande sala dove ho trascorso parecchie ore. In quegli anni questo approccio era praticamente sconosciuto. Ricordo che i due assistenti, lo svedese Lindberg e l’inglese Sharp, e il quarto uomo Dallas, scozzese, rimasero stupiti (lavorano nello staff di Collina all’Uefa, ndr ). Allora si pensava che bastasse conoscere il regolamento e fare attenzione alla preparazione fisica per arbitrare bene. Oggi lo studio di giocatori e squadre è la normalità: il briefing pre-partita è molto simile a quello che svolge un allenatore con i suoi giocatori. Lo farà anche Rizzoli».
Prima di un Mondiale c’è sempre una nazionale favorita, la cosa inusuale è che nel 2002 c’era anche un arbitro con questo status: lei.
(sorride) «Pronti via mi è toccata una sfida complicata come Argentina-Inghilterra che tutti volevano evitare. Troppo rischiosa. Puoi prepararti al meglio, ma basta un errore a vanificare tutto. La seconda gara fu un ottavo particolare: Turchia-Giappone, c’era molto entusiasmo tra i padroni di casa, pensavano di andare avanti. E invece furono eliminati. Senza polemiche».
Polemiche ci furono per i match della Corea. Si ricorda di Moreno?
«Poco, molto poco. Ci fu un raduno generale a Seul con tutti gli arbitri. Poi ci divisero in due gruppi: uno in Corea con Moreno e l’altro in Giappone, dove c’ero io. Era facile capire in quale Paese stavi: sole in Corea e colleghi abbronzati, da noi, a un’ora e mezza da Tokyo, pioveva sempre. Dopo gli ottavi di finale ci fu un “open media day” con i giornalisti nel nostro albergo. Per evitare di dover fare commenti su Moreno rimasi tutto il tempo in camera...».
E poi la designazione per la finale...
«Un po’ me l’aspettavo: dopo gli ottavi mi avevano tenuto a riposo, ma è stato lo stesso un bel momento. Ho chiamato mia moglie, nonostante fosse notte in Italia: ha avuto il merito di tenermi tranquillo per 6 settimane. Con due bambine piccole non è stato facile per lei».
Vigilia difficile?
«Il problema maggiore fu raggiungere lo stadio. Ci dissero che ci sarebbe stato l’Imperatore e non c’erano garanzie sugli spostamenti, il traffico poteva essere bloccato in qualsiasi momento. Così ci portarono sul posto con molto anticipo, quasi tre ore prima. Noi e i giocatori. Non sapevamo cosa fare e ci mettemmo a parlare tutti insieme per far passare il tempo. Davvero strano considerando quello che stavano per iniziare».
Cosa ricorda di quella serata?
«Due momenti. Il concerto di Anastacia prima della sfida, ovviamente solo sentito dagli spogliatoi, e la medaglia ricevuta al termine della partita. Trovai bello questo modo di premiare la squadra arbitrale, esattamente come i giocatori. Quando sono arrivato all’Uefa ho suggerito a Platini di introdurre lo stesso protocollo».
A proposito, come la mettiamo con le novità del Mondiale: tecnologia e spray anche in Champions e all’Europeo?
«Lo spray sulle punizioni facilita il compito dell’arbitro, evitandogli di dover “combattere” con la barriera. I giocatori rispettano la linea come se fosse un muro. All’Uefa ne stiamo parlando già da febbraio e lo abbiamo testato all’Europeo U17 (manca l’annuncio, ma è scontato l’impiego nella prossima Champions, ndr ). Sulla tecnologia intesa come gol non gol, vedremo. In linea teorica non è da escluderne l’utilizzo insieme con gli addizionali. Detto questo, i giudici d’area per noi restano la soluzione migliore per evitare e prevenire errori nella zona più importante del campo. Chi li ha introdotti sa bene i vantaggi che hanno portato. L’apertura alla moviola di Blatter? Siamo ancora agli annunci, poi non spetta agli arbitri cambiare le regole. Semmai ne prenderemo atto».
Come si arbitrava 12 anni fa senza aiuti e con assistenti stranieri?
«Direi bene, no? Scherzi a parte, non si può pensare di stare fermi. Il calcio cambia di continuo, anche gli arbitri devono farlo. Oggi il contributo degli assistenti e degli addizionali è indispensabile».
Il segreto da confidare a Rizzoli per controllare la finale?
«Far capire alle squadre qual è il limite da non superare. Ho ammonito due giocatori, Roque Junior e Klose, nei primi 9 minuti. Poi più nulla. Il messaggio era passato».
Gli ultimi momenti se li ricorda?
«Sì, avevo deciso di portare a casa il pallone come ricordo. Ho fischiato quando ero sicuro di prenderlo e non l’ho più mollato, neanche durante la premiazione. Poi è stato molto carino Ronaldo: mi ha fatto avere la sua maglia negli spogliatoi».
In un’altra intervista ci aveva detto: «La partita che non dimentico è l’ultima, Pavia-Bari di Coppa Italia». Conferma?
«Sì, perché ha chiuso un percorso importante della mia vita, durato quasi 30 anni. Ancora oggi il “campo” mi manca moltissimo. Restano i ricordi: la finale Mondiale ha un sapore particolare, ma l’ultima, per motivi diversi, non si può scordare».