Maria Elena Vincenzi, la Repubblica 14/7/2014, 14 luglio 2014
TRENI, TRAGHETTI E WEB. LA GRANDE FUGA DEL KILLER DEL CATAMARANO
Le foto segnaletiche sono in ogni porto, in ogni stazione e a ogni frontiera. Ma potrebbero essere ormai inutili. Quel che conta è il lavoro di intelligence quasi sul filo della psicologia, per capire quale sarà la prossima mossa, quale il prossimo viaggio, quale la prossima meta. Quel che conta è la mappa sulla quale gli inquirenti, ogni giorno, aggiungono un dettaglio, un passaggio, una possibile pista.
Sono trascorsi 87 giorni da quando Filippo De Cristofaro, condannato per aver ucciso — nell’estate del 1988 insieme alla sua fidanzata 17enne olandese — la skipper pesarese Annarita Curina, è uscito dal carcere di Porto Azzurro senza farvi più ritorno. Aveva con sé una valigia enorme, che dovrebbe destare sospetti, ma nessuno la nota. Doveva essere un permesso premio da passare nell’isola. Si è trasformata in quell’evasione che lui sognava e programmava da mesi. Come hanno ormai capito i 15 investigatori della squadra mobile di Ancona che da allora gli danno la caccia. Giorno e notte.
Un’inchiesta nata con difficoltà, quella coordinata dal procuratore generale di Ancona, Vincenzo Macrì e dal sostituto Teresa Cameli, perché la fuga di De Cristofaro, noto alle cronache come il “killer del catamarano”, è stata scoperta con due giorni di ritardo. Ritardo che, ora, potrebbe essere fatale per la riuscita della caccia all’uomo. Soltanto il 21 aprile, infatti, è stato lanciato l’allarme: quando ci si è accorti che per due giorni,
il “Rambo dei Mari” non aveva “firmato” alla stazione dei carabinieri dell’isola d’Elba. Ma a quel punto, questo il sospetto di chi indaga, l’uomo era già ormai lontano.
IL COMPUTER E I COMPLICI
Tracce, dettagli. Mentre la procura di Livorno indaga sull’evasione (e per qualcuno, ritenuto responsabile di omesso controllo, è già stato aperto un procedimento disciplinare), nelle Marche si avvia un altro tipo di lavoro. Che cerca di ricostruire gli spostamenti dell’uomo, partendo da una certezza: non commetterà gli errori fatti nel 2007 quando era evaso dal carcere di Opera. Fu riacciuffato in Olanda, a Utrecht, dove vivono la moglie e la figlia, mentre Diane Beyer, la fidanzatina dell’epoca e suo “grande amore”, abita a Rotterdam. Anche perché questa volta tutto è stato pianificato nel dettaglio.
Gli investigatori della squadra mobile di Ancona hanno ricostruito i mesi precedenti alla fuga. Ed è una certezza che De Cristofaro abbia lavorato a questo progetto per anni. In carcere ha acquisito una serie di conoscenze informatiche. Si dice che sia diventato una specie di programmatore, ormai. «Cosa — spiega una qualificata fonte investigativa — che potrebbe permettergli di trovare lavoro, una volta che si siano calmate le acque ». Ci passava le ore al computer, hanno spiegato dal carcere. Eppure, anche se gli accertamenti sono ancora in corso, “il Rambo dei mari” non è stato così sciocco da lasciare tracce del suo immaginario percorso. Le sue ricerche sul web parlano di tanti, troppi posti diversi. Il sospetto è che volesse confondere chi, un giorno, avrebbe dovuto cercarlo.
I DOCUMENTI FALSI
Eppure qualcosa si sa. Per esempio, che la prima notte l’ha passata a Portoferraio, nell’appartamento dell’associazione “I Dialoghi”. Era solo. Alla mattina, di buon ora, si è alzato e ha preso il traghetto. Prima tappa, ovviamente, Piombino. Nessuno gli chiede i documenti, nessuno lo nota. De Cristofaro a quel punto è quasi un uomo libero. Sa bene cosa deve fare: dal carcere ha programmato tutto minuto per minuto. E, questo è sicuro, qualcuno in quei mesi lo ha aiutato.
Sono passate pochissime ore dalla sua fuga, ma lui sa che di tempo non ne avrà molto (ne ha già avuto molto di più quanto potesse sperare). Prende un treno diretto a sud e si ferma in qualche cittadina in Toscana — Grosseto, forse — dove si procura un documento d’identità falso. Sa bene che i controlli, nelle ore successive, diventeranno serrati. E lui deve passare inosservato. Probabilmente si taglia i capelli, ne cambia il colore. Di sicuro acquista vestiti nuovi. Gli inquirenti non sanno quanti soldi abbia con sé: il sospetto è che nei mesi della sua preparazione, qualcuno possa avergli dato del denaro. O averlo nascosto da qualche parte in Toscana in modo che lui potesse andare a prenderlo.
IL MARE, META FINALE?
Il giorno dopo la fuga, 20 aprile, De Cristofaro arriva a Civitavecchia. Nessuno ancora lo cerca (l’allarme verrà dato 24 ore più tardi). Ed è qui che se ne perdono le tracce. Forse si imbarca su un traghetto. Forse su una nave da crociera. Certo è che in queste ore gli investigatori stano controllando tutte le immagini che sono riusciti ad avere (non molte a quanto pare) dalle telecamere che sorvegliano la zona del porto.
Quando iniziano le ricerche, di tempo ne è già passato molto. Troppo. Ecco perché gli investigatori della mobile di Ancona, guidati da Giorgio Di Munno, lavorano soprattutto sul profilo psicologico del latitante. Sanno che viaggia solo: non può permettersi il rischio di avere una donna con sé. E l’esperienza lo aiuta nell’evitare di commettere sciocchezze.
La pista più accreditata, al momento, è dunque questa: dal porto di Civitavecchia si sarebbe imbarcato verso qualche porto all’estero. Con un traghetto o a bordo di una nave da crociera. Ma non ci sono conferme ufficiali. Eppure tutti danno per scontato che la sua meta finale sia una località di mare. Dettaglio vago, per ora. Ma che potrebbe essere determinante per la fine della fuga del “killer del catamarano”.