Ettore Livini, la Repubblica 14/7/2014, 14 luglio 2014
VINCONO GLI EMIRI E IL GOVERNO MA I BIGLIETTI SARANNO PIU’ CARI
Vince, anzi stravince, Etihad. Sindacati e dipendenti, visti i presupposti, portano a casa un onesto pareggio. I soci italiani, le banche e – come al solito quando si parla di Alitalia – i contribuenti vanno a casa con le ossa rotte. L’avventura dei patrioti alla cloche della compagnia di bandiera si chiude con il botto (569 milioni di passivo lo scorso anno, oltre 1,5 miliardi dal 2008) e lasciando il cerino in mano agli emiri del Golfo. I dettagli dell’operazione saranno definiti nelle prossime ore. Vincitori e perdenti di sei anni vissuti pericolosamente sono però già chiari. Eccoli.
ETIHAD
Ha individuato la preda. L’ha sfiancata (non c’è voluto molto, nel 2013 Alitalia ha perso 1,5 milioni al giorno). E ora la porta a casa alle sue condizioni. La compagnia di Abu Dhabi vince la partita per ko. Aveva il coltello dalla parte del manico e ha ottenuto quello che voleva: le banche rinunceranno ai crediti. Gli esuberi sono più o meno quelli previsti e sono definitivi. L’ultimo sforzo lo dovrà fare il governo, ridisegnando il trasporto aereo per scoraggiare concorrenza e low-cost. Ma con Maurizio Lupi testimone di nozze, il risultato è dato per acquisito. Ovvio, tutto ha un prezzo, persino Alitalia. Ma il gioco, per gli emiri, vale la candela: il vettore tricolore garantisce loro un salto di qualità in Europa. E 560 milioni per il 49% è il costo di poco più di due Boeing 787. Etihad ne ha ordinati 25 lo scorso novembre…
I PATRIOTI (ED AIR FRANCE)
Il loro bilancio sembra quello dell’esercito italiano a Caporetto: un disastro. Nel 2008, attirati dalle sirene di Silvio Berlusconi e Corrado Passera, hanno investito in Alitalia un miliardo, obiettivo l’utile nel 2011. I profitti non sono mai arrivati. Loro invece hanno già registrato a bilancio 500 milioni di perdite sui soldi versati nella compagnia. Air France è quella che ha pagato più caro, riducendo da 323 milioni a zero il valore della sua quota. Le partecipazioni dei patrioti (salvo quelle delle banche) verranno ridotte a cifre da prefisso telefonico dopo l’ingresso di Etihad. Ora potranno puntare a realizzare
qualche spicciolo solo rivendendo agli emiri se e quando la compagnia sarà rilanciata.
LE BANCHE
Masochiste. Più che banche, Bancomat gratuiti. Gli istituti – causa moral suasion dei governi – hanno garantito dal 2008 ad oggi ad Alitalia qualcosa come 400 milioni di euro a fondo perduto. Buttando al vento un sacco di quattrini. IntesaSanPaolo, regista dell’Armata Brancaleone dei patrioti, ha versato alla causa 162 milioni come capitale, 60 già bruciati. Unicredit è arrivata in soccorso della patria con altri 50 milioni da sommare a 288 di prestiti. L’intero sistema ha pompato nelle casse del gruppo 565 milioni di crediti (chissà cosa pensano le tante pmi che si sentono dire “no” ogni giorno allo sportello). Oggi 170 milioni saranno cancellati come chiesto da Etihad. Il resto diventerà capitale con Unicredit e Intesa soci della nuova Alihad con il 20% circa. Buona fortuna.
I DIPENDENTI
Alla fine hanno limitato i danni. Il fallimento di Alitalia – l’unica alternativa ad Etihad – avrebbe significato l’addio a oltre 12mila posti più l’indotto. Le richieste iniziali di 2.500 tagli sono state limate un passo alla volta. Prima si è scesi a 2.251, poi a 1.900. Alla fine dal perimetro della compagnia usciranno 1.653 persone. E per le altre (tra quelle ricollocate tra i fornitori e quelle avviate ai contratti di ricollocamento) è garantito il solito occhio di riguardo che ha interessato tutte le riorganizzazioni della compagnia. Un centinaio di piloti e altrettanti tecnici voleranno verso Abu Dhabi. Alihad avrà poco più di 10mila dipendenti. La metà di quelli del 2007. Ma rispetto agli zero in caso di crac, è già un mezzo miracolo.
LA POLITICA
Il flop della cordata dei patrioti è il flop del governo Berlusconi, che nel 2008 disse “no” ad Air France giocandosi la carta elettorale (vincente) dell’italianità di Alitalia. Unico neo: la ricetta non ha funzionato. La compagnia in versione privata ha perso in sei anni 25 milioni al mese contro i 20 della vituperata gestione pubblica. L’ex Cavaliere ha garantito più tasse aeroportuali, uno scudo stellare contro l’antitrust. Niente da fare. Enrico Letta prima e Matteo Renzi poi si sono ritrovati con la bomba ad orologeria di Alitalia innescata sotto la poltrona di premier. E hanno scelto come stella polare di salvare i posti di lavoro. Sono stati usati un po’ acrobaticamente i soldi delle Poste e caricati un altro po’ di oneri sulle spalle dei contribuenti. Ora il governo può solo incrociare le dita e sperare che gli emiri siano un cavallo vincente.
I CONTRIBUENTI
Sono i convitati di pietra del salvataggio. E, more solito, pagheranno parte del conto finale. Dal 2008 ad oggi lo Stato ha sacrificato qualcosa come 4 miliardi alla causa Alitalia. Un miliardo circa se né andato dalle casse dell’Inps per pagare cassa e mobilità – oggi è garantita a 3.820 persone fino almeno a fine 2015 – per un totale di sette anni, tre in più del normale. Un altro miliardo è arrivato dal Fondo del trasporto aereo finanziato con una tassa di 3 euro a biglietto. Il contatore continuerà a correre (e più veloce) per i nuovi esuberi e per la probabile proroga degli ammortizzatori per quelli del 2008. Enav (pubblica) ha garantito lo scorso anno 60 milioni di sconti alle compagnie. L’Enac è pronta a pagare i corsi ai piloti per non perdere le licenze di volo. Le Poste hanno messo 75 milioni in Alitalia e potrebbero farsi carico di un piccolo pezzo dei tagli. Tanto, alla fine, paga Pantalone.
I CONSUMATORI
Più rotte. Molto probabilmente più care. L’operazione Etihad garantirà un aumento (marginale) della connettività a lungo raggio dall’Italia. Ma rischia di far salire il costo dei biglietti. Gli emiri hanno chiesto al Governo un provvedimento per riequilibrare a favore di Linate il traffico aereo a Milano e per scoraggiare le low cost, rendendo più complesso aprire nuove rotte. Se, Ue permettendo, il governo eseguirà, la concorrenza nel nostro paese si ridurrà di un altro po’. E le tariffe cresceranno. Il provvedimento “Destinazione Italia”, oltretutto, apre la porta a un aumento delle tasse aeroportuali per finanziare gli ammortizzatori sociali di settore.
MALPENSA
Rischia di essere vittima per la seconda volta del salvataggio di Alitalia. Con il de-hubbing ha perso 7 milioni di passeggeri (il 25% del suo traffico). Il rafforzamento di Linate potrebbe far perdere qualsiasi appeal a uno scalo su cui sono stati investiti un miliardo di soldi pubblici solo 15 anni fa. “Malpensa crescerà” dice Lupi, sottolineando il ruolo di hub per il cargo Alihad e un aumento da 11 a 25 dei voli intercontinentali alla settimana. Sarà. Ma si tratta di passare da 250mila a 500mila passeggeri l’anno in più, bruscolini. Non abbastanza, dicono le Cassandre, per tamponare potenziali defezioni molto più ampie.