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 2014  luglio 14 Lunedì calendario

«MA HAMAS NON HA PIU’ ALLEATI, SI È CACCIATA IN UNA TRAPPOLA»

Prigioniera della «sua stessa retorica», senza più «un solo alleato», schiacciata in una «morsa fra Egitto e Israele». Questa è la situazione strategica di Hamas nella lettura dell’orientalista Olivier Roy, autore del saggio «Il fallimento dell’Islam politico» e docente all’European University Institute di Firenze.
Perché Hamas si è cacciata in questa situazione?
«Dopo l’accordo per il governo di unità nazionale con Abu Mazen, in effetti, la leadership di Hamas non aveva nessun interesse nello scatenare una nuova guerra con Israele. Ma parliamo di una leadership molto indebolita e di un movimento che si è frammentato sempre più, specie in Cisgiordania. È bastato un “incidente”, il rapimento e l’uccisione dei tre studenti israeliani a Hebron, per far saltare tutti gli equilibri».
E come?
«Sembra evidente che i tre siano stati uccisi da alcuni membri di una tribù, quella dei Qawasmeh, che appoggia Hamas ma ha anche 80 membri della famiglia detenuti in Israele. Voleva uno scambio di prigionieri, probabilmente, ma ha agito quasi di sicuro senza il consenso della leadership, basata a Gaza. In Cisgiordania Hamas non controlla i suoi, e poi non ha la forza politica né militare per richiamarli all’ordine o anche condannare i loro gesti, perché prigioniera della sua stessa retorica di lotta senza tregua contro Israele. A quel punto era in trappola».
E ora è in grado di reggere l’attacco di Israele?
«Le primavere arabe, e la controrivoluzione guidata dai sauditi, l’hanno lasciata senza alleati. È molto indebolita rispetto a cinque anni fa. Non ha i mezzi politici né materiali per reggere l’urto. Verrebbe fatta a pezzi, ma anche per Israele non sarebbe una passeggiata: il prezzo in vite umane e soprattutto politico sarebbe alto».
Pensa che attaccherà?
«Netanyahu è prigioniero della retorica quanto Hamas. È chiaro che preferirebbe evitare la guerra, ma l’escalation di rappresaglie, dichiarazioni, solenni promesse, nuove rappresaglie è implacabile. Solo un intervento esterno può aiutarlo a uscirne».
A chi può chiedere aiuto Hamas: all’Iran, al nuovo califfo Al Baghdadi?
«L’ultimo alleato, riluttante, è l’Iran, nonostante Hamas rappresenti l’islam sunnita e Teheran quello sciita. Ma anche qui: la retorica vorrebbe una sacra alleanza contro Israele, a Teheran, però, importa di più siglare un accordo con gli Stati Uniti sul nucleare, uscire dall’isolamento e riprendersi un ruolo leader nel mondo musulmano. Quanto agli islamisti dell’Isis, di Al Baghdadi, sono contro il nazionalismo arabo, per la fusione delle nazioni islamiche nel Califfato, quindi tiepidi con Hamas, che è una forza nazionalista».
E l’Egitto? Quanto è sincera la sua mediazione?
«All’Egitto di Al Sisi, nemico numero uno dei Fratelli musulmani in questo momento, interessa schiacciare Hamas quanto se non più che a Israele. A Gaza sono in una morsa».