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 2014  luglio 14 Lunedì calendario

«COOP, CHI SBAGLIA SI FACCIA DA PARTE»


«Se pezzi del nostro mondo hanno corrotto e rubato nei loro confronti non possiamo mostrare nessuna debolezza». Mauro Lusetti è da poche settimane presidente della LegaCoop, sostituisce Giuliano Poletti diventato ministro e la sua contrastata nomina è il segno di una crescente autonomia delle cooperative dalla sinistra. Da giovane è stato iscritto al Pci ma oggi non ha la tessera del Pd e gli schieramenti che si sono confrontati sulla sua elezione non sono riconducibili a giochi di partito. Sulla nuova poltrona Lusetti è arrivato in un momento particolare della storia delle coop alle prese con tre macigni: corruzione, estensione delle cooperative spurie e ristrutturazione del settore delle costruzioni. «Parliamone. Non mi tiro indietro, anche se francamente avrei preferito — ride — una bella e tosta intervista contro l’austerità della Merkel». Iniziamo allora dalle recenti indagini giudiziarie sugli appalti dell’Expo a Milano e del Mose a Venezia dove sono rimaste impigliate cinque cooperative della Lega, di cui la più importante è il Coveco. «Abbiamo chiesto a tutti i consiglieri di queste cooperative di farsi da parte, di rassegnare le dimissioni dall’incarico prima di attendere l’esito del primo grado di giudizio. I destini delle persone devono essere separati da quelli delle imprese».
Il punto è delicato, vale anche per Confindustria e suona così: le organizzazioni devono agire subito o, in nome dei principi del garantismo, attendere il terzo grado di giudizio lasciando però le imprese in un limbo reputazionale? «Per una cooperativa la reputazione vale doppio — risponde Lusetti —. E per questo abbiamo chiesto ai dirigenti del Coveco e delle altre quattro coop coinvolte nel caso Mose di fare un passo indietro. Ovviamente in caso di assoluzione per loro è previsto il reintegro. Chi patteggia, invece, è come se fosse stato condannato e quindi scatta l’espulsione». Ma la moral suasion della LegaCoop si applica anche a Primo Greganti? «Nel mondo degli affari ci sono molti mediatori-millantatori e Greganti è uno di questi, non è socio di nessuna coop. Galleggiava in una zona grigia tra la politica e la relazione con esponenti di alcune coop ma non ci sono stati contestati episodi criminosi». Un caso ancor più spinoso è quello di Claudio Levorato, gran capo della Manutencoop il cui nome ricorre nelle intercettazioni sugli appalti Expo. «Non ha ricevuto avvisi di garanzia. È stato intercettato e la richiesta di arresto è stata rifiutata. Se dovesse avere rilievi formali dalla magistratura sarà il primo a farsi da parte. Lo conosco, non vorrà nuocere al movimento cooperativo».
La seconda patata bollente si chiama cooperative spurie: non si contano più gli episodi che tirano in ballo false cooperative che si muovono in una terra di nessuno fatta di sfruttamento della forza lavoro, violenza e ricatti. «I nodi sono due: il regime di dumping contrattuale e la confusione che creano con la loro denominazione. Siamo preoccupati dal fatto che nei trasporti e nel facchinaggio si siano create zone di criminalità organizzata e caporalato etnico. I forconi non sono niente rispetto ai guai che può creare questo fenomeno se non viene combattuto perché la filiera della logistica è un ganglio vitale dell’economia moderna». Lusetti sostiene che se in un magazzino il massimo della produttività può essere stimato nella movimentazione di 120 colli l’ora e vengono invece firmati contratti che ne prevedono 250 allora c’è del marcio, non siamo in presenza di una libera competizione. Allora «bene» l’introduzione di un salario minimo prevista nel jobs act ma ci vogliono controlli a tappeto da parte degli ispettori del lavoro, della Guardia di finanza e persino dei carabinieri. «Non c’è bisogno di una nuova legge ma bisogna fare la verifica biennale delle cooperative e le aziende committenti si devono dare un codice antidumping. Non si danno commesse a chi opera nell’illegalità piena».
Infine le ristrutturazioni e il rischio di dover scegliere tra salvare le aziende o le persone. «Le nostre difficoltà nel settore delle costruzioni sono dovute al crollo del mercato e non a una perdita di competitività. Le imprese convenzionali stanno peggio di noi. Come coop paghiamo l’errore di essere stati più immobiliaristi che costruttori e oggi dobbiamo svalutare i bilanci di alcune aziende perché gli immobili iscritti a bilancio non si vendono. Ma dobbiamo soprattutto riposizionare e riqualificare la nostra offerta industriale per seguire i mutamenti del mercato che vuole più qualità e meno consumo di territorio». Non tutti i big del mattone coop sono in crisi, Lusetti cita i casi della Cmc di Ravenna che lavora per il 60% all’estero e della Cmb di Carpi che ha saputo diversificare la propria offerta. «Per il resto dobbiamo creare 4-5 poli che aggreghino le altre cooperative e le specializzino per filoni di business e dimensione. Non abbiamo fatto i conti di quanti esuberi saltino fuori da questa riorganizzazione, so che anche noi dovremo sporcarci le mani con i processi di ristrutturazione. Lo abbiamo fatto in passato nell’agricoltura o nell’edilizia del dopo Tangentopoli ma l’economia allora cresceva. Oggi no e sarà tutto più complicato e doloroso».