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 2014  luglio 14 Lunedì calendario

CATTOLICI DIVISI AL SINODO

Passare dall’anatema al “Chi sono io per giudicare?”. La rivista teologica internazionale Concilium, vivaio del riformismo conciliare, pone in questa maniera il nodo dell’azione pastorale di papa Bergoglio in rapporto all’ortodossia, cioè il pronunciamento sulla “verità”. Restare attaccati alla “dottrina”, ai “principi non negoziabili”, sarà la trincea in cui si posizioneranno quanti non vogliono che al Sinodo dei vescovi di ottobre si produca il minimo mutamento a proposito di divorziati-risposati, coppie omosessuali, contraccezione e così via. Se la dottrina è immutabile, sostengono i conservatori a oltranza, allora è impossibile fare concessioni e bisogna ribadire i “no” espressi dalla Chiesa.

Il caso divorziati
Il tema più scottante per una parte dei credenti è rappresentato dal divieto assoluto di dare la comunione ai divorziati risposati. Ma sono parecchie le problematiche di etica familiare o relazionale su cui i pareri nella Chiesa sono molto divisi e il questionario inviato alla fine dell’anno scorso dalla Segreteria del Sinodo – per volontà del Papa – li ha messi in fila uno per uno. Ancor più differenziate sono state le risposte.
Il perimetro, entro il quale al Sinodo si accenderà il dibattito, è stato segnato nei mesi passati significativamente da due porporati tedeschi: quasi a richiamare quello spazio teologico di lingua tedesca, che negli ultimi decenni non ha cessato di reclamare una svolta nel rapporto tra Chiesa e mondo e nell’organizzazione interna della Chiesa, considerata dai suoi critici troppo verticista e non partecipativa.
Sostiene il cardinale Walter Kasper, già presidente del Consiglio per l’Unità dei cristiani, che non si tratta di essere lassisti, ma di riconoscere che ogni peccato può trovare assoluzione attraverso un cammino di penitenza. “Non è immaginabile – ha detto – che un uomo possa cadere in un buco nero da cui Dio non possa più tirarlo fuori”.
Ai suoi antipodi il cardinale Gerhard Mueller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, che attacca l’idea di un “falso richiamo alla misericordia”, respingendo la “banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare”. Contrapponendosi a Kasper, il responsabile del Sant’Uffizio ribadisce che il divorzio è inammissibile e la comunione per i divorziati risposati rimane esclusa: “Non si tratta della mia opinione. Abbiamo la dottrina della Chiesa che è espressa anche nel catechismo, nel concilio di Trento, nel concilio Vaticano, in dichiarazioni della Congregazione per la Dottrina della fede”.
E tuttavia le differenze – e lo scontro – non si giocano solamente all’interno della gerarchia ecclesiastica . Visioni contrapposte si registrano in seno ai fedeli, al “popolo di Dio” come è uso chiamarli dopo il Vaticano II. Al Sinodo dell’ottobre 2014 e ancor più nel Sinodo dell’autunno 2015, deputato a definire proposte operative, la “linea riformista” di Francesco dovrà sforzarsi di acquisire il consenso di un mondo cattolico che per aree geografiche mostra diversità di approccio anche notevoli.
È utile in tal senso tornare a esaminare risultati di un sondaggio planetario, realizzato a febbraio per conto del canale televisivo statunitense di lingua spagnola Univision, che ha raccolto le opinioni di dodicimila cattolici in dodici diversi paesi di tutti e cinque i continenti. Le nazioni in cui la società di sondaggi Bendixen&Amandi ha distribuito i suoi questionari sono Argentina, Brasile, Colombia, Messico, Stati Uniti, Italia, Francia, Polonia, Spagna, Repubblica democratica del Congo, Uganda, Filippine. Un test sufficientemente ampio.
Se prendiamo la questione dei divorziati risposati, alla domanda se “vivono in uno stato di peccato che impedisce loro di ricevere la comunione”, l’idea è respinta con ampie maggioranze in America Latina (67 per cento), negli Stati Uniti (60%) e in maniera schiacciante in Europa (75%). Nelle Filippine la musica cambia: i fedeli sono spaccati a metà. In Uganda e Congo democratico la posizione rigorista del divieto raccoglie invece addirittura il 75%.

Aborto e omosessualità
Lo stesso fenomeno si registra al quesito se l’aborto debba essere consentito in alcuni casi (se non tutti). L’area, che potremmo chiamare “europea” in senso lato, risponde di sì. Dalla Francia alla Colombia. Con percentuali quasi sempre superiori al 70 per cento. Tra parentesi, la stessa posizione dei cittadini italiani nel loro complesso. Nei paesi afro-asiatici la posizione negativa è invece netta. Si va dal 56 per cento di no del Congo democratico al 73 delle Filippine. La stessa spaccatura tra zona “europea” e fascia afro-asiatica si riproduce quando si parla dell’eventualità di preti sposati. A favore i primi, assolutamente contrari i secondi.
C’è una spiegazione. Ed è che nei paesi di più antica cristianità il processo di secolarizzazione è andato avanti con maggiore velocità, ma è progredita anche la riflessione teologica sul rapporto tra dottrina e modi di vivere della società contemporanea. Invece nelle nazioni, dove il cristianesimo storicamente è arrivato sull’onda delle colonizzazioni dei secoli più recenti e ha richiesto uno sforzo di rottura radicale con le culture preesistenti, i (relativamente) nuovi convertiti sono più attaccati alla dottrina come l’hanno ricevuta dai missionari e sentirebbero di tradire la scelta fatta e il notevole impegno personale per essere diversi dai seguaci di altre religioni.
Lì dove il sacerdote celibe, non sposato, senza figli (a prescindere di chi osserva o meno le regole ) ha significato un’opzione in assoluta controtendenza rispetto alla cultura locale, persino eroica e comunque fortemente idealizzata, staccarsi da questa immagine di prete non viene per niente accettato.
Se poi si passa a questioni come il ruolo delle donne, entrano in campo visioni del mondo ancestrali, che incidono pesantemente. Plebiscitario è il no alle donne sacerdote in Asia e in Africa, convinto il sì in Europa e negli Stati Uniti. Con l’America latina, che fa da crinale: a favore è il 49 per cento, contro il 47.
Divisiva in maniera eclatante è la tematica omosessuale. Ma qui l’indagine di Bendixen&Amandi ha fatto un errore capitale. Invece di chiedere se l’omosessualità vada riconosciuta come orientamento del credente o se siano da legalizzare le unioni omosessuali, l’inchiesta si è fissata sulla domanda secca: “Accetti o ti opponi al matrimonio omosessuale?”. I responsi sono stati disastrosi. No su tutta la linea, tranne in Spagna e negli Usa.
D’altronde anche la Chiesa anglicana fino a due anni fa era spaccata sul tema dell’ordinazione delle donne. E per quanto riguarda l’ordinazione di vescovi gay il conflitto nord-sud tra gli anglicani non si è ancora acquietato. Anzi in Uganda la gerarchia anglicana si è sempre detta violentemente contraria all’ipotesi di preti e vescovi gay.
Lo scontro fra culture è un fattore, che al Sinodo non potrà essere sottovalutato. Francesco ne è consapevole. Il pontefice argentino dovrà fare lavoro di tessitura per tenere insieme l’orbe cattolico. Nel momento in cui si rompe la corazza dell’uniformità, si manifesta inevitabilmente il pluralismo e lo scontro fra visioni teologiche e culturali diverse. Non a caso il Papa, da buon politico, ha programmato un biennio di Sinodi. Per far maturare convergenze.