Chiara Daina e Giulia Merlo, il Fatto Quotidiano 14/7/2014, 14 luglio 2014
MANAGER CON TAILLEUR E BIBERON
Alla fine hanno detto basta. E si sono riprese la carriera. Tailleur, grinta, levatacce, su e giù da treni e aerei, la fede al dito, un paio di figli, reperibili via mail anche il fine settimana. Le donne manager fanno un baffo ai colleghi maschi ma spesso devono mettersi nei loro panni per farsi rispettare sul posto di lavoro. La crisi, sembra strano, è un volano per l’evoluzione rosa, che però lungi dall’essere già una conquista, si vede ancora lontana e solo con il binocolo. I numeri comunque fanno sperare in un cambio di rotta: tra il 2008 e il 2012, nel settore privato, i vertici d’azienda al femminile sono cresciuti del 15,8 per cento, quelli maschili invece sono scesi di cinque punti. Le dirigenti under 34 anni sono oltre il 25 per cento, e il 5 nel top management contro il 2 dei coetanei.
Non rinuncio a figli e marito
Claudia Parzani, milanese, di professione avvocato, è una mosca bianca nell’alta finanza. Ha la testa sempre immersa in azioni, obbligazioni, derivati. È l’unica partner donna dello studio internazionale Linklaters ed è l’unica italiana a sfilare nella top ten degli “Innovative Lawyers” del Financial Times. A 42 anni, con tre figli di 9, 8 e 5 anni, le sue giornate sono senza fiato. “Sono la classica mamma che arriva trafelata ai colloqui. Ma, quando posso, cerco sempre di organizzare momenti di divertimento indimenticabili: casa mia è famosa perché le amichette delle mie figlie vengono a fare camping in salotto”. Il segreto per riuscire a coniugare tutto è non avere sensi di colpa. “Cerco di vivere a tutto tondo: in ufficio sanno che ho una famiglia e i miei figli sanno che può capitare che la mamma manchi a una recita”. In una vita già molto impegnata, Claudia Parzani è stata eletta presidente di Valore D, la prima associazione di grandi imprese in Italia per sostenere la leadership femminile in azienda, “perché noi donne dobbiamo sapere che possiamo arrivare dove vogliamo”.
La storia di Silvia Candiani rompe tutti gli stereotipi sulle donne manager. Quarantatrè anni, di Milano pure lei, responsabile marketing di Microsoft per l’Europa dell’Est, tre giorni alla settimana in viaggio, tra aerei, hotel e uffici, il resto telelavoro da casa, weekend in totale relax (risponde alle mail solo se urgenti), ha due figli di 9 e 5 anni, che avrebbe voluto il più presto possibile, e un marito che fa il tifo per lei da sempre. “Bisogna scegliersi molto bene il compagno”. Non scherza: “Deve collaborare nelle faccende di casa, non sentirsi sminuito, non essere geloso o invidioso”. La sua carriera è di corsa. Dopo una laurea in Economia in Bocconi, viene assunta in una società di consulenza ma all’offerta di un posto da direttore dei conti correnti in una banca, non ci pensa due volte e accetta. “Avevo 30 anni e i colleghi uomini cinquantenni mi guardavano come se fossi un ufo”. Sentirsi in dovere di dimostrare le sue capacità, di alzare l’asticella ogni volta più in alto, è stata la reazione. Una volta badava di più alla mise, classica, in tacchi e tailleur. Oggi ha sotto di sé 50 dipendenti e veste più casual. “Quello che conta è ciò che sai fare, non serve essere acide, odio provocare”.
Quanto sia difficile fare la mamma manager, con riunioni che magari durano oltre l’ora di cena, lo sa bene anche Chiara Bisconti. Quarantotto anni, manager per dieci alla Nestlé e per otto alla San Pellegrino, oggi è assessore al Benessere al Comune di Milano. “Ho 3 figli e faccio sempre la parte della madre scapestrata, che non porta mai la torta fatta in casa e arriva in ritardo alle riunioni. Anche in azienda ho messo in conto di non poter essere sempre al top e mi capita di andare alle cene di lavoro senza aver avuto il tempo di fare manicure e messa in piega”. Al centro delle sue decisioni ha sempre messo se stessa: “Non è una scelta di egoismo, bisogna fare così se vuoi conciliare tutto. La dedizione assoluta è insopportabile”. Principio che applica anche nell’impegno in Comune: “Non vado a tutte le inaugurazioni, il presenzialismo fine a se stesso non fa per me. Nel mio ruolo cerco di migliorare la situazione per le donne che verranno dopo di me”.
“Non sono complicata, ho il dono della sintesi, e un marito resistente” confessa Susanna Zucchelli, nel 2002 prima donna amministratrice delegata di un aeroporto italiano, a Olbia, e oggi direttrice del Gruppo Hera. “Il tempo per me è uno strumento operativo: decido prima quanto me ne serve per una mansione e non sforo. È un esercizio che fa acquisire consapevolezza delle proprie capacità e ottimizza il lavoro”. Lo dice con voce decisa, ma una vita da manager, anche la più organizzata, qualcosa toglie. “La mia famiglia ha fatto con me tanti sacrifici, sono stata fortunata ad avere una madre che ha badato ai miei due bambini quando io non c’ero”. Il ritmo di lavoro è massacrante. “In azienda il tempo è molto maschile. Io la chiamo la lobby delle sette di sera: orario oltre il quale, per ogni donna con figli, rimanere in ufficio è una sofferenza”. Per questo, da diversity manager, sta lavorando per modificare l’approccio. “Voglio garantire a tutte le donne di conciliare azienda e famiglia, per esempio ottimizzando la durata delle riunioni”.
Daria De Pretis, avvocato, docente di Diritto amministrativo all’Università di Trento e da un anno rettrice dell’Ateneo, lo ammette senza vergogna: “Ho sempre percepito una competizione impari rispetto ai miei colleghi uomini”. Nell’ambiente universitario le donne al comando si contano sulle dita di una mano. “La mia difficoltà è stata quella di ogni donna: un carico di lavoro da combinare con quello familiare”. Con due figli da allevare la carriera è stata una gran fatica. “Quando erano piccoli era quasi un lusso poter lavorare fino alle 8 di sera. Staccavo prima e tornavo a casa per fare la cena. Poi li mettevo a dormire e riprendevo a lavorare”. Oggi fa i conti con rinunce e rimpianti: “Qualche incontro accademico all’estero ma anche il tempo non dedicato ai figli”. Un percorso a ostacoli che le ha fatto capire che la cosa più utile, soprattutto in ambiente accademico , è cambiare il modo di pensare. “Confesso che non volevo dire ai colleghi di essere incinta”.
Nessun senso di colpa
“Non è vero che le donne sono più umorali e più insicure degli uomini”: Cristina Scocchia, 40 anni, amministratrice delegata di L’Oreal Italia da gennaio scorso, duemila collaboratori sotto di sé, si è sentita ripetere più volte il contrario ma ha sempre lasciato correre. “Non è vero neanche che tutti gli uomini ai vertici di aziende sono autoritari. Non c’è uno stile femminile e uno maschile di stare al comando”. Lei è un tipo razionale, ragiona a lungo termine e difficilmente perde la pazienza. Sveglia alle 6,30, due ore di giochi con il figlio di 5 anni, poi corre in ufficio fino alle 19.30. “Io e mio marito non ci deleghiamo compiti, il primo che torna a casa apparecchia la tavola”. La formula per fare strada è non piangersi addosso: “Non mi pento di dedicare a mio figlio quattro ore al giorno, ci sono tanti modi di essere una brava madre”. Giura di non aver fatto più rinunce di un uomo per raggiungere il traguardo. Capelli lunghi castani e un bell’aspetto, eppure insiste: “Per tirare avanti un’azienda non ti chiedono se sei bella, ma se sai gestire i conti economici e risolvere problemi”.
L’ascesa delle donne nelle stanze dei bottoni non avviene in solitaria. Dietro le quinte si danno da fare squadre di donne con progetti, idee, campagne di informazione per spianare la strada all’emancipazione femminile nelle imprese. Marisa Montegiove è a capo del gruppo Manager Donne, attivo dal 1997: “Aiutiamo i datori di lavoro a digerire la notizia della donna in dolce attesa: non è solo un costo, ma un’assenza, quindi va coltivato il rapporto con lei durante la maternità, va aggiornata sulle novità, non le vanno tolti pc e cellulare aziendale. In più offriamo supporto psicologico a madri e padri in carriera”.
Mentre l’associazione Valore D esiste dal 2009, include 112 aziende che vogliono promuovere la leadership femminile, e promuove corsi di formazioni per coloro che siederanno nei Consigli di amministrazione delle società quotate. Il bilancio promette bene: quasi 150 partecipanti, di cui 38 selezionate nei Cda.