Oscar Grazioli, il Giornale 14/7/2014, 14 luglio 2014
L’ULTIMO RUGGITO DELLA MODA
Esiste un’antica e complessa relazione fra la moda e il mondo animale. Questa si può identificare in un numero pressoché infinito di «brand» che si riferiscono a vari oggetti o beni, dalle automobili, ai gioielli, dalle stoviglie all’abbigliamento e ai suoi accessori. Sui preziosi piatti di e tazze di porcellana francesi, danesi e olandesi trionfa il mondo animale: può essere il colorato «coq» (gallo), o l’anatra di mare, come spesso si vede nei manufatti dei paesi nordici. Lo stemma delle automobili si basa, nella maggior parte, sul mondo animale e qui domina il cavallino rampante della Ferrari, come il felino selvatico argentato che scatta sul “muso” della Jaguar o il leone che veglia sul frontale della Peugeot.
Tra i gioielli e affini, gli animali hanno sempre avuto un ampio successo e non solo su alcuni singoli, ma su intere catene di prodotti famosi per la loro bellezza e qualità. Basta pensare alla serie degli Swarovski, con elefantini, uccelli, tartarughe e altri animali d’ogni specie e genere. Per quanto riguarda il rapporto fra il mondo animale e la moda, intesa come abbigliamento e suoi accessori, tutti siamo a conoscenza dei danni causati dalla vanità femminile (ma anche maschile) alla fauna selvatica. Le pellicce che, secoli fa (e ancora oggi per certe popolazioni), erano indispensabili in determinate aree geografiche per difendersi dal clima impietoso, sono diventate un oggetto di vero e proprio culto per la donna. Quelle maculate poi (leopardo, giaguaro, ocelot ecc.) erano considerate il massimo della sessualità esplosiva, per la donna vista, da uomini bramosi, come cacciatrice di trofei (animali e umani).
La moda delle pellicce, così come quella di accessori d’abbigliamento, ha portato all’estinzione di numerose splendide specie animali, quali i leopardi nebulosi.
Per fortuna (di leopardi e compagnia bella) qualche decennio fa è stata vietata, in tutti i paesi civili, la vendita di pellicce o tessuti derivati da animali selvatici, specie se a rischio di sopravvivenza. Un capo d’abbigliamento che ha stravolto la moda in tutto il mondo è il blue – jeans o semplicemente il jeans. Questo pantalone da lavoro che già a metà dell’800 Levi Strauss vendeva ai cercatori d’oro, avrebbe avuto poi una diffusione planetaria con mille brand più o meno famosi, dai Levi’s 501 ai Roy Rogers, ambiti dai «fichi» assieme ai Ray Ban.
Negli anni 90 vennero poi i jeans «vissuti»: i delavè, gli strappati, i bucherellati che ancora vanno di gran moda. E allora, uno zoo giapponese ha pensato bene di rimpolpare le magre finanze con una novità che sta destando notevole successo. Al Kamini zoo di Hitachi hanno preso degli pneumatici e li hanno rivestiti con dei pantaloni in tela di jeans.
A questo punto li hanno lasciati a disposizione di leoni, tigri e leopardi come fossero giochi con i quali passare il tempo. È quello che normalmente si chiama «arricchimento ambientale», usato per portare distrazioni ai grandi felini, inclini alla noia della cattività. Giocando con le unghie e i denti, ovviamente la tela ne risulta bucherellata o strappata e a questo punto lo zoo può ben fregiarsi del suo motto: «Gli unici jeans al mondo disegnati da animali pericolosi». Non saranno come i jeans di Momotaro, fatti a mano e dai bottoni d’argento, che stanno arrivando in Italia a 2500 euro il paio e non convincono tutti gli stilisti, ma l’idea è originale e, nonostante le critiche, sta facendo proseliti soprattutto in America. Portare jeans su cui si è fatto le unghie un leone ha il suo bel fascino.