Paolo Condò, SportWeek 12/7/2014, 12 luglio 2014
DAL “VANGELO” SECONDO GUARDIOLA
Sempre contrario a rilasciare interviste, Pep Guardiola continua a comunicare – oltre che nelle canoniche conferenze stampa – attraverso alcuni incontri a teatro organizzati (e pagati) da vari sponsor in tutto il mondo. Se le conferenze stampa sono per molti versi la negazione del giornalismo, perché una domanda a testa fa sì che a un quesito sul suo sistema di valori ne faccia seguito uno sul suo piatto preferito, la profondità degli incontri sponsorizzati è ben diversa: a condurre l’incontro di solito è un giornalista di valore – la scorsa settimana al Luna Park di Buenos Aires c’era l’eccellente Juan Pablo Varsky – che per sviluppare il discorso può seguire il filo logico dettato anche dalle risposte. Guardiola è stato in Argentina dopo una breve apparizione al Mondiale, proprio a Porto Alegre a vedere la Seleccion vincere 3-2 contro la Nigeria; alcune delle cose raccontate al Luna Park (locale storico della capitale argentina) valgono la pena di essere riportate.
L’obiettivo. “Ha ragione sempre chi vince. In bocca a uno sconfitto, la vittoria morale è soltanto una scusa. Il calcio è una competizione, chi vince ha fatto le cose in modo migliore”. Parole in qualche modo sorprendenti, considerata la filosofia di gioco molto generosa elaborata nel tempo da Pep; a ben guardare, quindi, Guardiola ha creato ciò che ha creato perché gli sembrava la strada più sicura per vincere.
I giocatori. “Come ha detto Vicente Del Bosque dopo l’eliminazione della Spagna, il tecnico deve pensare alla squadra perché se non lo fa lui non lo fa nessuno. In genere i giocatori considerano il loro interesse personale, e conquistarli è una specie di trattativa d’affari: se riesci a far vedere quale sia il loro vantaggio individuale in una situazione di squadra (un gol, un assist, una bella figura) sei a buon punto. Per quanto riguarda le nozioni tattiche, per liberarli mentalmente devi prima inculcargliene molte”.
Messi. “Ha un talento per competere che nemmeno io riesco a capire fino in fondo, prova ne sia il fatto che quando perde non pensa mai che sia stata colpa dell’allenatore. Perché all’epoca fra lui e Ibrahimovic scelsi lui? È semplice: perché i passi avanti in Champions League ce li faceva fare Leo. È sempre il campo a dare la risposta”.
Bielsa. “Inocula nelle sue squadre il virus dell’aggressività, se vedo il Cile di oggi quella caratteristica è rimasta. Ora alleno Javi Martinez, che fu suo giocatore a Bilbao. Mi ha raccontato che a volte teneva discorsi di un’ora, e a tutti sembravano di dieci minuti. Non può esistere complimento più grande”.