Katia Ippaso, Il Garantista 12/7/2014, 12 luglio 2014
TONI SERVILLO? UN NEVROTICO COME ALLEN
[Angelo Curti]
Ci sono figure che hanno fatto la storia del teatro e del cinema in questo Paese ma di cui difficilmente troveremo la foto nelle prime pagine dei giornali. Una di queste figure è quella di Angelo Curti: tra i fondatori di Teatri Uniti, ha pensato, prodotto e organizzato i primi film di Mario Martone (Morte di un matematico napoletano, L’amore molesto, Teatri di guerra), gli spettacoli di Toni Servillo, i primi film di Paolo Sorrentino (L’uomo in più), la prima opera cinematografica di Pippo Delbono.... Lo si vede nei luoghi in cui si opera, difficilmente in quelli in cui si fa solo mostra di sé. Vive a Napoli da sempre, e sa che solo per questo la città è ammissibile ai sensi e alla ragione. Detto questo, non se ne andrebbe per nessuna ragione. La sua fortuna, dice, è avere una moglie fiorentina.
Questa sera e sabato prossimo, 19 luglio, Rai 5 trasmette in tarda serata (ore 23.15) due puntate di un programma di cui Angelo Curti, 55 anni, è autore (con la cura di Felice Cappa e la regia di Margherita Lamagna), “Scene napoletane, sguardo d’insieme sul teatro a Napoli negli ultimi 35 anni”. Un’ occasione per guardare, con riservatezza ma senza sfuggirvi, alla propria stessa vita, e alle scelte fatte da ragazzo assieme ad altri ragazzi parecchio creativi e, soprattutto, parecchio uniti.
Il punto di origine, la fonte, di ogni discorso sul teatro è Eduardo?
Non può che essere così. La prima puntata del programma comincia con immagini recuperate di Sik-Sik. Eduardo è apparso in scena l’ultima volta al San Ferdinando nel 1979 con Sik-Sik, un’opera che aveva creato nel 1929. In questi cinquant’anni De Filippo ha compiuto il percorso della vera innovazione, diventando un classico. Napoli è uno dei pochi posti al mondo in cui esiste la tradizione vivente. Il rapporto con la tradizione non si è mai spezzato. Le esperienze di maggiore innovazione affondano le radici nel patrimonio storico, culturale e espressivo della città. Questo rende Napoli speciale. Qui non sopravvivono le sperimentazioni puramente modaiole. Siamo arrivati a un’età per cui ne abbiamo viste tante, abbiamo fatto molte cose e ne faremo altre.
Quali sono le voci di questa partitura per immagini?
La parte più bella del lavoro è stata la ricerca dei materiali. Ho recuperato le immagini di un programma che aveva fatto Lucio Amelio nel 1980 che si chiamava “In mano all’arte”. E lì ci sono delle immagini rarissime dei primi spettacoli di Falso Movimento, delle cose di Toni Servillo con il suo Teatro Studio di Caserta.
C’è un punto di vista?
Ho intervistato, per un verso, gli impresari e per l’altra alcune famiglie d’arte.
Quando si parla di Napoli, la si accosta subito alla criminalità. E al teatro. E non basta dire che rappresentano il lato nero e il lato bianco di uno stesso fenomeno. C’è sempre un che di flocloristico nel discorso su Napoli, e questo elemento non può che pesare sull’immagine immobile della città.
Questo è vero. Ed è per questo che continuiamo a fare opere come “scene napoletane” in tv, per fare chiarezza e diffondere la conoscenza del grande patrimonio culturale e artistico che si collega alla città di Napoli.
Da Eduardo a Martone, se ne sono tutti andati. Mentre lei è rimasto a Napoli. Un altro intransigente è Enzo Moscato, immenso scrittore che non si è mai voluto muovere.
Enzo è un poeta, è un’altra cosa. Io credo di essere rimasto a Napoli perché da 35 anni, cioè dalla prima volta che andammo con il neonato Falso Movimento alla Fiera d’Arte di Basilea (Lucio Amelio portò allora me e Toni Servillo a fare lì delle performance), l’attività di Teatri Uniti è sempre stata all’estero: da allora io ogni tanto torno a Napoli. Riflettevo sul fatto che il teatro nella cui stagione siamo più presenti quest’anno è il Teatro Llueve di Barcellona. Sono napoletano, non andrei mai via da Napoli, la città ci dà molto ma siamo nella condizione di non doverle chiedere troppo, altrimenti sarebbe dura.
Ci vive con la sua famiglia?
Mia moglie Costanza è fiorentina e questo mi ha aiutato molto perché una donna napoletana avrebbe altri parametri. Abbiamo tre figli: Clarissa, Fiamma e Leone.
Manifestano tendenze artistiche?
Leone ha fatto qualche ruolo in teatro, con Francesco Saponaro. Anche Clarissa un po’ ci segue, è attratta ma non dal punto di vista artistico. Le interessa come si tengono insieme le cose.
Tenere le cose insieme è anche il suo mestiere...
Si, si può dire anche così.
Lei è sempre così mite?
C’è scritto da qualche parte: «Temete la collera dei miti!»
Mentre il web pullula di immagini di Servillo, facciamo una certa fatica a trovare una sua foto. Vive con contraddizione questa sua posizione centrale ma defilata?
Io penso una cosa: che l’artista sia la madre e che il produttore/impresario sia il padre. Il padre deve fare il padre e la madre deve fare la madre. Se ci sono i ruoli, vanno conservati. Poi credo che nella lunga durata le foto online si vedono pure. L’altra cosa importante è che per far funzionare nel tempo un’esperienza collettiva come Teatri Uniti, c’è bisogno di Artù, Merlino e Lancillotto. Chi ci mette la faccia in prima persona, chi sovrintende in un certo modo, e chi infine sta stare dietro a pensare a delle precise strategie. Riguardo al cinema, il luogo fondamentale è la moviola, la sala di montaggio.
Chi è Mario Martone dal suo angolo visuale?
Quello con Mario è stato un sodalizio vero ma anche più di un sodalizio. Se penso a quello che ha rappresentato fare Teatri di guerra, al di là dell’esito del film (forse tra i tre fatti insieme è il più imperfetto), è stata un’esperienza bellissima: penso allo spettacolo, alle riprese, a tutto… Il lavoro fatto con Mario è stato un lavoro reale, vero. Quando, negli anni Ottanta, a me e Mario dicevano «Dovete fare il cinema», Mario giustamente rispondeva: «Farò il cinema quando lo potrò fare da regista di cinema, e non da regista di teatri che fa il cinema» (come era il caso di Carmelo Bene, di Perlini). E così è stato. Avendo noi cominciato con il cinema quando da giovanissimi facevamo i filmaker indipendenti, sappiamo benissimo che il teatro è il teatro e il cinema è il cinema.
In poche immagini, la sua città.
Qualcosa che ti fa pensare di essere stato fortunato ad essere nato e ad essere napoletano. Da esterno, non potresti volerle così bene.
Quale è stato l’atto fondativo di Teatri Uniti?
Come sempre, i fatti precedono gli atti. E fu per una serie di fatti ordinari e clamorosi che ci trovammo nello stesso momento del tempo io, Antonio Neiwiller, Mario Martone, Toni Servillo.... Teatri Uniti nacque dalla fusione di Falso Movimento, Teatro Studio di Caserta e Teatro dei Mutamenti. Era il 1987. Gli spettacoli di allora erano quasi più coreografie che spettacoli. Toni era più ballerino che attore...
Una volta di Toni Servillo, disse: «È la persona che mi fa ridere di più al mondo».
Può darsi che io l’abbia detto, e comunque non sono tanto d’accordo con me stesso. Toni è una persona nevrotica. Come Woody Allen. È il contrario di Gassman, che faceva ridere al cinema e piangere a teatro. Servillo fa ridere a teatro e piangere al cinema. Con Toni, ancor prima dell’Oscar a La grande bellezza di Sorrentino, siamo andati in America. È stato divertente fare quel viaggio con lui.
A parte il teatro, ha delle passioni dominanti che ha tenuto ben nascoste finora?
Sono passioni come spero insospettabili, e quindi è qualcosa che non rivelerò.
Che libri legge?
La letteratura è un lusso e io sono una persona sobria, frugale. Leggo molto meno di quello che vorrei.
E come passa il suo tempo non lavorativo?
Amo cucinare e vedere le partite di pallone.
Ha seguito i Mondiali?
Certo.
Argentina o Germania?
Argentina. Perché sono interista e l’Argentina è un nostro serbatoio storico. E poi penso che i tedeschi siano pericolosi. Fanno di tutto per sembrare giovani e multietnici, ma dietro c’è un altro pensiero. Sono un ammiratore della cultura tedesca, ma l’idea della grande Germania è pericolosa.
Cos’altro avrebbe potuto fare se non avesse scoperto che le piaceva “mettere le cose insieme” come organizzatore e produttore di teatro e cinema?
Sarei stato uno psicoanalista. Avrei lavorato molto di meno e guadagnato molto di più. In verità faccio quello nella vita.
Immagino vacanze al freddo.
Sì, in Val d’Aosta. Come tutti gli anni.