Martino Villosio, Il Tempo 14/7/2014, 14 luglio 2014
ECCO LA BEFFA DEI BRACCIALETTI ELETTRONICI
Prima il decreto sul femminicidio, la scorsa estate, li ha introdotti come strumento di controllo per gli stalker. Lo svuota carceri dello scorso inverno, li ha fatti diventare praticamente obbligatori per chi va agli arresti domiciliari. Infine è arrivato il decreto legge entrato in vigore lo scorso 28 giugno che prevede sempre gli arresti domiciliari, invece della custodia in carcere, per indagati o imputati se la condanna prevista non supera i tre anni.
In sole tre mosse, in meno di un anno, la politica ha trasformato i braccialetti elettronici in uno strumento chiave. Ha fatto di questi apparecchi, applicati alle caviglie dei detenuti a domicilio, una risposta al cronico sovraffollamento delle carceri. Solo un particolare è stato trascurato: bisognava comprarli. Già, perché mentre i governi di Letta e Renzi creavano le condizioni perché la domanda di braccialetti elettronici esplodesse, la macchina amministrativa ha viaggiato in direzione ostinata e contraria. Nonostante i ripetuti allarmi lanciati al ministero dell’Interno da Telecom, cui una convenzione ha assegnato la fornitura degli apparecchi, la dotazione di 2.000 "pezzi" non è stata ampliata. Il risultato risplende nella circolare che lo scorso 19 giugno l’ufficio del capo della polizia Pansa ha inviato ai vertici del Dap: «Ad oggi», scriveva Pansa, «si è arrivati a circa 1.600 dispositivi attivi con una saturazione del plafond di 2.000 unità prevista entro il corrente mese di giugno». E poi un’altra cattiva notizia: per i nuovi braccialetti bisognerà attendere fino ad aprile del 2015, visto che è necessario predisporre un capitolato per una gara europea.
Ci ha pensato però il governo a trasformare un grosso problema in un rischio emergenza. Solo dieci giorni dopo l’allarme di Pansa, infatti, è entrato in vigore il decreto 92. In base alla norma ogni nuovo arrestato, ma anche chi è già detenuto in attesa di giudizio o con una sentenza non ancora definitiva, deve essere inviato agli arresti domiciliari se il giudice competente prevede per lui una pena non superiore ai tre anni. Un provvedimento che, nell’interpretazione che stanno dando alcuni magistrati, ha effetto anche per chi è già in carcere con una condanna non definitiva superiore al limite di tre anni, ma deve scontare una pena residua inferiore. Nelle prossime settimane, spiegano gli addetti ai lavori, usciranno insomma di prigione per andare a casa non solo i piccoli pusher, ma anche rapinatori, spacciatori o altri condannati di elevata pericolosità sociale, che non potranno però essere dotati del braccialetto elettronico come previsto dalla legge. A chi la responsabilità?
La Telecom, che nel 2004 a firmato un contratto con il Viminale per la fornitura, l’installazione e il monitaraggio dei 2.000 apparecchi, avrebbe informato mensilmente il ministero dell’Interno sul rischio di un esaurimento delle scorte. Dal dicastero di Alfano, per ora, l’unica risposta operativa è stato scaricare la patata bollente sugli uffici giudiziari, con la circolare del 27 giugno scorso indirizzata dal capo di gabinetto del ministro Giovanni Melillo a Procure e Tribunali della penisola. «In attesa che il ministero dell’Interno giunga ad una nuova convenzione che ampli la disponibilità di braccialetti elettronici», si legge nell’invito rivolto a giudici, «si prega di accertare preventivamente la disponibilità da parte della polizia giudiziaria dei mezzi elettronici suddetti». Accertare la disponibilità di strumenti ormai dichiaratamente esauriti e che non saranno incrementati prima di un anno: un’interessante acrobazia.
«Il braccialetto oggi sta dando risultati positivi», ci ha spiegato il gip di Roma Stefano Aprile, «in tre giorni viene applicato al detenuto, porta dei risparmi economici importanti». Eppure quando fu introdotto, nel 2001, nessuna circolare si preoccupò di dettare agli uffici giudiziari come utilizzarlo. Per un decennio il braccialetto è rimasto un oggetto misterioso, poi due anni fa proprio il gip Aprile impose alla questura di Roma di utilizzare sistematicamente gli apparecchi disponibili visto che il sistema risultava regolarmente attivato. In pochi mesi il braccialetto elettronico ha preso piede anche in altre procure e tribunali d’Italia. Fino all’epilogo odierno. Anni di polemiche contro i costi di uno strumento percepito come "inutile", e ora che il braccialetto diventa essenziale l’Italia se ne trova sprovvista. Chapeau.