Andrea Di Biase, MilanoFinanza 12/7/2014, 12 luglio 2014
AL CENTRO C’E’ TELECOM
Qual è il senso industriale dell’investimento da 100 milioni di euro con il quale Telefonica ha prenotato l’11,11% della società di nuova costituzione nella quale verranno conferite le attività pay di Mediaset? È questa la domanda che il mercato e gli addetti ai lavori si sono posti, senza riuscire a trovare una risposta univoca, nel corso dell’ultima settimana. Qualcuno ha adombrato il fatto che l’assegno milionario che il colosso delle tlc spagnole presieduto da Cesar Alierta si appresta a staccare al gruppo televisivo guidato da Pier Silvio Berlusconi rappresenti una sorta di compensazione per la disponibilità del gruppo di Cologno Monzese a cedere, attraverso la controllata Mediaset España, il 22% di Digital Plus a Telefonica, impedendo così ai qatarioti di Al Jazeera (beIn Sports) di mettere un piede nel mercato spagnolo della pay-tv. Una disponibilità, quella del gruppo italiano, ben vista anche dal governo di Madrid, oltre che ben remunerata, considerato che per il 22% di Digital Plus, Telefonica ha messo sul piatto altri 335 milioni, che potrà tuttavia recuperare beneficiando delle perdite fiscali che troverà nella società acquisita.
Ma la tesi del «favore ben remunerato», non è l’unica che circola tra gli addetti ai lavori. Il fatto che Telefonica, che in Italia non ha asset propri nel settore delle tlc, se non la partecipazione del 14,7% in Telecom Italia (tuttora vincolata in Teleco), abbia deciso di investire direttamente nella futura Mediaset Premium, ha portato qualche osservatore a pronosticare un possibile avvicinamento tra il gruppo televisivo controllato dalla famiglia Berlusconi e l’ex monopolista dei telefoni. Senza una rete capillare sul territorio, come quella di Telecom Italia, sulla quale fare viaggiare il segnale della pay-tv di Mediaset, quale apporto potrebbe dare Telefonica alla newco del Biscione, che dopo l’uscita dalla Spagna, sarà un’operatore esclusivamente nazionale? Su queste basi la risposta sembra essere nessuno. Ecco allora gli scenari, avvalorati dalle dichiarazioni rilasciate da Pier Silvio Berlusconi al Corriere della Sera lunedì 7 luglio. «Con Telecom avevamo studiato 14 anni fa un accordo, poi ci si è messo di mezzo il conflitto di interessi, la poca convinzione... Oggi, la situazione è completamente cambiata...». Parole che, assieme ai complimenti indirizzati da Berlusconi jr al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che non può non avere voce in capitolo sui futuri assetti di controllo di Telecom, sono state interpretate come un ballon d’essai volto a sondare il cielo dei mercati e della politica riguardo un’ipotesi suggestiva quanto complessa. Non tanto perché il gruppo guidato da Marco Patuano ha da poco siglato un accordo commerciale con Sky Italia, il principale concorrente di Mediaset Premium nel mercato italiano della pay-tv, che consentirà ai clienti di Telecom Italia di accedere all’intera offerta televisiva della pay-tv satellitare di Rupert Murdoch, quanto per l’oggettiva difficoltà di Telefonica, pur essendo il primo azionista della società italiana, a incidere sulla governance di Telecom.
Lo scorso dicembre, infatti, il Cade (l’Autorità antitrust del Brasile) ha dichiarato incompatibili con gli impegni presi da Telefonica nel 2010 al momento dell’acquisto del 100% di Vivo, il principale operatore mobile del Paese, la nuova governance di Telco (il veicolo in via di scioglimento cui partecipano anche Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo). Per questo ha chiesto agli spagnoli di sciogliere l’intreccio con Telecom Italia, cui fa capo il 67% di Tim Brasil, o in alternativa di scendere al 50% di Vivo, dando loro 18 mesi di tempo per farlo. Un diktat che, nonostante la decisione di Alierta e del chief operating officer di Telefonica, Julio Linares, di lasciare il board di Telecom, è tuttora pendente sulla testa del colosso iberico. Non solo, la decisione dei soci italiani di Telco di avviare l’iter per lo scioglimento della holding, deliberato dall’assemblea della società mercoledì 9 luglio, potrebbe mettere Telefonica ancora più in difficoltà dinnanzi alle autorità brasiliane.
Non per niente venerdì 11 il quotidiano brasiliano Folha de São Paulo ha riportato l’indiscrezione secondo cui Telefonica avrebbe preso contatto con alcuni fondi per cedere la sua quota nell’operatore italiano. Voci che da Madrid hanno preferito non commentare («non commentiamo i rumor di mercato né le indiscrezioni di stampa», ha dichiarato un portavoce di Telefonica), ma che negli ambienti finanziari milanesi sono invece stati letti più come un segnale di distensione indirizzato alle autorità brasiliane che come una reale intenzione degli spagnoli. Anche perché il processo di scioglimento di Telco non sarà immediato, in quanto subordinato all’autorizzazione dello stesso Cade e dell’Anatel (l’autorità delle comunicazioni brasiliana). All’inizio della prossima settimana i legali di Telco dovrebbero notificare formalmente alle due autorità la delibera di scioglimento della holding, ma non è detto che queste si pronuncino in tempi brevi. Anche perché il prossimo 5 ottobre si terranno le elezioni presidenziali in Brasile il cui esito potrebbe avere impatti non trascurabili sul futuro assetto del mercato delle tlc del Paese.
Se un consolidamento tra gli operatori telefonici attivi in Brasile, come preconizzato in settimana dagli analisti di JP Morgan, sembra essere inevitabile, ancora tutta da capire è la direzione che prenderà questo processo, visto che Telefonica (anche se non lo ha mai confermato ufficialmente) auspicherebbe uno spezzatino di Tim Brasil tra la sua controllata Vivo e gli altri due operatori mobili: Claro del magnate messicano Carlos Slim, e Oi, l’operatore brasiliano da poco fuso con Portugal Telecom. Ma Tim Brasil, che il nuovo cda del gruppo italiano, presieduto da Giuseppe Recchi, considera un asset strategico, sarebbe finita nel mirino anche di Vivendi. Il colosso francese dei media presieduto da Vincent Bolloré (cui fanno capo Canal+ e la major musicale Universal Music) che punterebbe a un’integrazione della propria controllata brasiliana Gvt (Global Village Telecom) con l’operatore mobile di Telecom Italia. Una combinazione tra la controllata di Vivendi e Tim Brasil rappresenterebbe un durissimo colpo per Telefonica, ma anche per gli altri due soggetti operanti nel mercato del grande Paese sudamericano, compreso l’operatore locale Oi.
Ma fintanto che le autorità di Brasilia impediranno a Telefonica, che è pur sempre il primo socio dell’ex monopolista italiano, di rimanere lontana dalla stanza dei bottoni di Telecom, difficilmente Alierta avrà modo di riportare a suo favore l’inerzia del risiko delle tlc brasiliane. Ecco perché, viene fatto notare, un eventuale coinvolgimento nell’azionariato di Telecom di un nuovo socio italiano, non ostile a Telefonica ma anzi in consolidati rapporti d’affari con la stessa, potrebbe consentire agli spagnoli di rimpiazzare gli attuali soci di Telco con un partner in grado di garantire l’italianità di Telecom Italia davanti alle autorità italiane e brasiliane e avere in questo modo mano libera alla propria strategia di espansione nel grande mercato sudamericano. Ma chi potrebbe essere questo partner? I buoni rapporti in essere con Mediaset, consolidati con il grande accordo su Digital Plus e l’ingresso di Telefonica in Mediaset Premium, farebbero del gruppo del biscione il candidato ideale. Non solo perché darebbe un senso industriale all’investimento degli spagnoli nella pay tv italiana, ma anche perché consentirebbe a Berlusconi di diventare il principale azionista di un gruppo multimediale integrato. Un risultato che avrebbe risvolti importanti anche a livello successorio.