Diego Gabutti, ItaliaOggi 12/7/2014, 12 luglio 2014
IL PROBLEMA GRAVE NON È TANTO LA CORRUZIONE IN SÉ E PER SÉ, QUANTO CHE SIANO STATE APPROVATE LEGGI CHE LA PROMUOVONO
Scrivono Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi nel loro Corruzione a norma di legge. La lobby delle grandi opere che affonda l’Italia, Rizzoli 2014, pp. 238, 15,00 euro, ebook 9,99 euro, che «il 22 aprile 1527, al fine di mantenere distinto il “pubblico servizio” dall’interesse privato, fu deliberato di scegliere tra i membri del Senato tre nobili col compito di sostituire i provveditori nel caso questi avessero “beni, o padre, figlioli, fratelli, suoceri, generi, germani et cuginati [_] che fussero interessati nel Retrato (consorzio) che si facesse”». Quanto al «normale iter per la realizzazione dei lavori era la gara d’appalto, caratterizzata da una serie di passi successivi. Il migliore offerente era dichiarato aggiudicatario e si prestava all’atto formale del bacio della mazza cerimoniale, tenuta nelle mani del comandadore della Magistratura. Il vincitore della gara, per ottenere la definitiva aggiudicazione, doveva poi presentare la documentazione necessaria: in particolare le certificazioni di buona condotta e l’assenza di precedenti penali, l’iscrizione all’arte, l’adempimento degli obblighi fiscali e soprattutto una fideiussione, solitamente il 10% dell’importo dell’appalto».
Non basta: «In caso di ritardi dei lavori, non dovuti a cause di forza maggiore (come ad esempio i danni ai cantieri provocati dal maltempo) erano previste pesanti sanzioni per l’impresa inadempiente. Dal 1640 si era deciso anche la rimessa a gara dei lavori a spese, danni e interessi dell’inadempiente, cui si aggiungeva la penale del 10% dell’importo dei lavori. In tutti gli altri casi era invece prevista una “trattativa” col magistrato per ottenere il ricalcolo dei tempi di esecuzione dei lavori o almeno una proroga. Era comunque tassativamente esclusa la cessione del contratto e il subappalto totale o parziale».
Questa lunga citazione per dire che nella Venezia di Goldoni e del Consiglio dei Dieci, nella Venezia delle spie e di Giacomo Casanova, come nella Venezia ancora precedente d’un secolo o due, il mostro chamato Mose, questo Quasimodo degli appalti pubblici, non avrebbe mai potuto prendere forma. Ma nell’Italia della prima e seconda repubblica sì. È infatti grazie a una legge ad hoc del 1984, votata diciotto anni dopo l’inondazione del 1966 che l’aveva reso necessario, che l’appalto per mettere Venezia al riparo dalle catastrofi naturali viene assegnato senza gara al Consorzio Venezia Nuova, un cartello imprenditoriale che nei successivi trent’anni ha speso molto più denaro pubblico (e per combinare poco) di quanto ne abbiano speso, per fare un esempio tratto dal libro, «danesi e svedesi fra il 1995 e il 2000» per costruire «il ponte di Öresund: 3 miliardi di dollari d’investimento per collegare Copenaghen a Malmö con un ponte di 16 chilometri, uno dei più lunghi al mondo, di cui 4 di tunnel sottomarino».
Oltre a essere stato assegnato senza gara d’appalto, il contratto del Mose non prevede nessuna delle garanzie che nella Venezia del Cinquecento mettevano l’amministrazione pubblica al riparo delle sorprese e minimizzavano il rischio di corruzione, e i risultati si sono visti: politici, imprenditori, colonnelli della guardia di finanza e trafficanti di vario genere sono finiti dietro le sbarre con accuse a buon titolo infamanti. Senza contare che negli ultimi trent’anni sono state votate innumerevoli altre leggi per favorire la cuccagna degli appalti insindacabili (l’Expo, la Tav).
Perché il vero guaio, come spiegano Barbieri e Giavazzi, non sono le mazzette. C’è di peggio della corruzione e del passaggio di denaro tra imprese e funzionari o politici disposti a oliare gl’ingraggi. Ci sono le leggi votate (su commissione delle imprese dedite al saccheggio delle risorse pubbliche) per sancire il malaffare. E le leggi corrotte sono molto più infide e pericolose delle persone corrotte. «Evitare la corruzione delle leggi è forse impossibile», si legge in chiusura di Corruzione a norma di legge. «Anche negli Stati Uniti, dove sono molto avanti a noi nel contrasto alla violazione delle leggi, il dibattito sul ruolo dei lobbisti è aperto. Non è evidentemente un problema che si può affrontare con nuove regole, poiché è una questione essenzialmente politica.
Possiamo solo auspicare che di fronte all’amara vicenda del Mose la politica e i cittadini, con il proprio voto, trovino l’antidoto affinché simili casi di corruzione delle leggi non si ripetano. Il rischio è che l’opinione pubblica, sconcertata dai casi di eclatanti violazioni della legge, scordi che il problema principale è la corruzione delle leggi».