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 2014  luglio 12 Sabato calendario

NON SOLO PORTOGALLO, INCUBI DI MEZZA ESTATE PER I MERCATI

Sembra che il panico sia durato un solo giorno. Il Banco Espírito Santo ha già smesso di terrorizzare la Borsa portoghese e a catena quelle europee. È bastata una nota in cui la banca ha ribadito di avere “sufficienti riserve” da 2,1 miliardi per affrontare le perdite che potrebbero derivare dall’esposizione per 1,18 miliardi verso Espírito Santo International, la holding a monte della catena di controllo che sarebbe in crisi di liquidità.

In realtà la relativa flemma dei mercati deriva dalla consapevolezza che il Portogallo ha ancora a disposizione buona parte dei 26 miliardi di euro ricevuti dal fondo salva Stati Efsf. Ma se quei capitali verranno intaccati, sarà perché prima ci sarà stata una ristrutturazione del debito, con pesanti perdite per gli azionisti e i creditori della seconda banca del Portogallo. Un test prematuro e pericoloso per la nascente unione bancaria.

Come ogni estate, complici le vacanze, il calo dei volumi e le ghiotte opportunità di speculazioni che si aprono, i mercati cominciano a innervosirsi. Ecco, Banco Espírito Santo a parte, cosa agita i sonni dei trader.

LE BANCHE SONO SANE?

La Banca centrale europea sta conducendo l’analisi degli attivi delle banche europee che dall’autunno saranno sotto la sua supervisione (diretta per gli istituti più grandi, indiretta per gli altri). Come nota una ricerca di Mediobanca, “nel 2013 la redditività netta delle banche Usa è quasi cinque volte quella europea, cioè 7,5 per cento contro 1,6, anche grazie alla maggiore efficienza”. I ricavi americani crescono, quelli europei scendono, le perdite su crediti in Europa sono al 18 per cento dei ricavi, negli Usa il 5. E così via. In autunno le banche che dopo l’esame europeo non risulteranno in regola, dovranno fare aumenti di capitale. E come avverte la responsabile della vigilanza della Bce, Danièle Nouy, dovrebbero cominciare a raccogliere capitali ora, altrimenti ci sarà un ingorgo (troppa domanda di denaro a parità di offerta, quindi le banche faticheranno a trovare le risorse necessarie). Ma anche dopo essersi ricapitalizzate , il business delle banche europee resta decotto, come dimostrano i dati di Mediobanca e come ha ricordato due giorni fa il governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Se in questo delicato equilibrio partono scosse dalla periferia, tipo il Banco Espírito Santo, basta un attimo a risvegliare l’incertezza, che diventa subito panico.

DOV’È FINITA LA RIPRESA?

Lo scrive da settimane sul Financial Times Martin Wolf: la tregua nella crisi del debito sovrano europeo si fonda sull’idea che la politica monetaria compra il tempo necessario alle economie poco competitive per riformarsi e tornare a crescere. Ma questo non sta succedendo: il direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano, ha scritto un editoriale ieri sul “coraggio della verità”. Quello che manca al governo Renzi per riconoscere che il Pil nel 2014 non crescerà dello 0,8 per cento ma dello 0,2-0,3. Il dato sulla produzione industriale di maggio (-,1,8 per cento sul 2013) dimostra che l’economia reale è ancora in caduta. A guardare i dati complessivi, scrive Anatole Kaletsky sul Wall Street Journal, le cose non sembrano andare così male: l’economia mondiale è cresciuta in media del 3,6 per cento tra il 1988 e il 2007, quando è scoppiata la crisi . E nel 2014 crescerà del 3,6 per cento. Tutto bene? No, perché i Paesi in via di sviluppo ormai si sono sviluppati e marciano spediti, mentre quelli ricchi restano fermi o scendono mentre continuano a soffrire sotto il peso del debito. Nell’indifferenza generale, dal 9 giugno i rendimenti sui titoli di debito italiani decennali continuano a crescere (non molto, da 2,7 a 2,89). Idem quelli spagnoli e portoghesi. E se ricomincia la fuga dal debito sovrano, sono guai per tutti.

BASTA DENARO GRATIS?

A ottobre, cioè proprio mentre i mercati europei cominceranno a essere un po’ tesi per gli aumenti di capitale delle banche, la Federal Reserve americana dovrebbe terminare il suo programma di sostegno all’economia americana lanciato nel 2009. In cinque anni la Banca centrale ha comprato 4 mila miliardi di titoli di Stato americani, prima della crisi ne deteneva soltanto 750 miliardi. Al momento compra 35 miliardi al mese dal Tesoro, meno degli 85 di qualche mese fa ma comunque tanti. La fine del quantitative easing Usa potrebbe segnare l’inizio di una garbata, graduale ma inevitabile stretta di politica monetaria ovunque tranne che nell’eurozona. La Banca d’Inghilterra di Mark Carney ha detto di essere stupito del fatto che i mercati si aspettino un aumento del costo della sterlina (fermo allo 0,5 per cento dal 2009) nel 2015. Gli investitori hanno dedotto quindi che i tassi potrebbero salire già nell’autunno 2014. E visto che i mercati cercando sempre di prevenire (in gergo: scontano oggi gli effetti di eventi che accadranno domani), l’addensarsi di nubi sull’autunno rischia di produrre pioggia d’estate. Scopriremo presto se hanno ragione i pessimisti o gli ottimisti.