Fabio Monti, Corriere della Sera 12/7/2014, 12 luglio 2014
IN CAMPO IL FESTIVAL DELLA DELUSIONE
Non sarà una partita inutile, ma la finale per il terzo posto di un Mondiale è la gara che in tanti vorrebbero non giocare e che invece non si è celebrata soltanto nel 1930 e nel 1950. O si è la squadra-rivelazione del torneo (come la Polonia nel 1974) oppure il match n. 63 diventa il festival della delusione. Lo è soprattutto in questo sabato dove a Brasilia, stadio Garrincha, si affrontano Brasile e Olanda. A chiarirne il senso ha provveduto Louis van Gaal: «È meglio perdere 7-1 che ai rigori. La mia squadra è molto triste, si è infranto un sogno che non tornerà. Il nostro obiettivo era essere i numeri uno, ora stiamo tutti male. Perdere così è terribile». Ma sono soprattutto i brasiliani che avrebbero gradito sparire dopo l’1-7 con la Germania: sono ancora tutti sotto choc; temono un’altra caduta verticale contro un’avversaria che ha portato ai rigori l’Argentina; l’abbraccio di Neymar ai compagni in ritiro ha diffuso un’infinita tristezza.
Il 7 luglio 1990, a Bari, la partita per il terzo posto era diventata la sfida fra due nazionali, finite nella trappola dei rigori al penultimo atto. Da una parte l’Italia, eliminata dall’Argentina a Napoli; dall’altra, l’Inghilterra messa fuori dalla Germania Ovest a Torino. Racconta Aldo Serena, che c’era: «Dopo aver perso ai rigori, saremmo andati all’aeroporto per tornare a casa già quella sera, senza nemmeno passare da Marino, dove c’era il nostro quartier generale. Nella partita con gli inglesi avevamo tutto da perdere: le pile erano scariche e sentivamo la delusione della gente. Invece per tre giorni erano stati bravissimi il presidente Matarrese, il c.t. Vicini e tutto il suo staff nell’indicarci con un discorso non emotivo, ma molto razionale, quanto sarebbe stato importante arrivare comunque terzi, anche se la coppa era ormai scappata. E messa di fronte ad una nuova realtà, quella Italia aveva risposto bene. La partita era stata una bellissima festa, giocata anche bene e vinta nel finale con il rigore di Schillaci, dopo i gol di Baggio e Platt; il pubblico aveva fatto la ola; noi e gli inglesi lo avevamo imitato in mezzo al campo. Il giorno dopo, ricevuti dal presidente Cossiga, avevamo avuto il riscontro che la gente ci voleva bene, ma tutti noi sapevamo di non aver risposto fino in fondo alle attese».
Quattro anni fa, 8 luglio 2010, Joachim Löw si era persino ammalato, per la delusione della sconfitta nella semifinale di Durban con la Spagna (Puyol) ed era andato in panchina con la febbre. Per rincuorare la Germania, prima di affrontare (e di battere) l’Uruguay, Oliver Bierhoff aveva detto: «La squadra ha giocato un calcio divertente, che ha conquistato tutti e ha dato una nuova immagine della Germania nel mondo. Ha dimostrato che ragazzi di origini, religioni, cultura e formazioni diverse fra loro possono formare una squadra forte e unita. Sono loro i nuovi ambasciatori del nostro Paese». Tabarez, invece, era stato osannato per l’inatteso quarto posto dell’Uruguay (500.000 persone avrebbero accolto la Celeste a Montevideo), ma nemmeno lui era contento di aver mancato la finale. Löw era già arrivato terzo da vice di Klinsmann, l’8 luglio 2006, dopo aver battuto il Portogallo a Stoccarda (3-1) e il c.t., con la valigia in mano, alla vigilia aveva confessato: «Non è la partita che volevamo, ma dovremo mettercela tutta. A noi interessa arrivare terzi, anche per rispetto dei tifosi», mentre Scolari, allora c.t. del Portogallo, senza immaginare quanto gli sarebbe accaduto nel 2014 con il Brasile, aveva detto: «Questa finale è importante più per gli interessi economici degli sponsor che per le squadre che la disputano. È molto difficile motivare i giocatori, perché si pensa a quello che si è perso e non a ciò che si potrebbe vincere».
Il 24 giugno 1978 era andata in campo un’Italia scarica per giocarsi il terzo posto contro il Brasile, dopo aver sognato la finale con l’Argentina, quando gli azzurri si erano ritrovati in vantaggio con l’Olanda il 21 giugno (autogol di Brandts, 18’ p.t.), prima delle reti di Brandts (5’ s.t.) e Haan (30’ s.t.). E dopo un tempo, gli azzurri, in vantaggio con Causio, avevano ceduto di fronte al Brasile, con i gol nella ripresa di Nelinho e Dirceu. Il 28 giugno 1986, la Francia, battuta al penultimo ostacolo dalla Germania Ovest, quando già sognava la finale, avrebbe rinunciato volentieri a battersi per il terzo posto con il Belgio. Platini, a pezzi (tendinite), era stato costretto a fermarsi, ma alla fine i francesi avevano vinto: 4-2. Senza essere felici.
Fabio Monti