Sergio Bocconi, Corriere della Sera 12/7/2014, 12 luglio 2014
LA DINASTIA DI FABRIANO E LA «FAMILY PUBLIC COMPANY»
La dinastia Merloni che vende è una notizia annunciata. Tuttavia non per questo «colpisce» di meno. Perché non si tratta soltanto del nuovo passaggio di mano di un’azienda italiana ricca di storia ma dal futuro altrimenti incerto. A ben vedere con il gruppo di Fabriano passa un «pezzo» dell’Italia imprenditoriale più significativa: un modello di multinazionale rimasta (pur quotata in Borsa) a proprietà familiare, con le passioni, le inevitabili divisioni, le riunificazioni, i problemi e le soluzioni legati alla governance e alla successione; un racconto dove i personaggi principali come Vittorio Merloni, hanno interpretato sogni «schumpeteriani» e contribuito a scrivere le complicate vicende delle relazioni industriali del Paese; un distretto fra i più classici, di quelli che hanno ispirato l’analisi del peculiare sviluppo economico del made in Italy, della dorsale adriatica e delle Tre Italie.
Una storia che ha una conclusione in sé di registro quasi narrativo tanto è circolare. Perché, dopo alcuni mesi nei quali sono sfilati, oltre all’americana Whirlpool, svariati altri nomi di potenziali acquirenti, alla fine si torna al capitolo primo, anzi forse al secondo, di «C’era una volta il bianco», del libro cioè che descrive l’epopea dell’industria italiana di frigoriferi e lavatrici. Perché Whirlpool con due passaggi ha già acquistato in Italia uno dei grandi ex concorrenti dei Merloni, la Ignis di Giovanni Borghi. E poi la strada di Indesit si era già incrociata alcuni anni fa con quella di Whirlpool: i due gruppi erano arrivati vicini a una fusione. Poi Vittorio Merloni non se l’è sentita e ha fatto un passo indietro.
Un precedente che dimostra come la strada della partnership albergasse già da tempo fra le ipotesi possibili. Quella della vendita si è invece progressivamente rafforzata con la grave malattia di Vittorio. L’imprenditore, titolare dell’usufrutto sulle azioni di Fineldo, la holding che controlla Indesit, non è più stato in grado di seguire le vicende aziendali. E ciò ha costretto la famiglia, i quattro figli Andrea, Aristide, Maria Paola e Antonella e la madre Franca, a cercare (anche fra divisioni) una soluzione al nodo del passaggio dell’effettiva proprietà e quindi della disponibilità dell’azienda. Un passaggio sofferto concluso con la nomina (travagliata) di un tutore per Vittorio, individuato in Aristide.
Il figlio (gemello di Andrea) che si chiama come il capostipite, il «creatore» del modello Merloni. È stato lui a posare nel 1930 il primo mattone del gruppo con una piccola fabbrica (sette operai) di bilance industriali ad Albacina, vicina a Fabriano. Classica storia di imprenditoria italiana: negli anni Cinquanta ha il 40% della quota di mercato nel comparto. Avvia la produzione di bombole per il gas liquido ed entra in quella degli elettrodomestici, con il marchio Ariston. Alla sua morte, nel dicembre 1970 i tre figli, Vittorio, Francesco e Antonio, lavorano in azienda, retribuiti come impiegati. Perché gli utili si reinvestono.
Il gruppo viene diviso in tre: a Vittorio va la guida della Merloni elettrodomestici, a Francesco la divisione termosanitari e ad Antonio quella meccanica. Vittorio, che è stato anche presidente di Confindustria, è il più noto e la sua «eredità» vive lo sviluppo maggiore. Anche con l’acquisto di marchi e società come Indesit, Scholtès, Stinol e Hopoint, la Merloni diventa uno dei primi produttori di «bianco» in Europa. Con una scelta non proprio consueta per un’impresa familiare Vittorio affida i pieni poteri a un manager esterno: nel 1996 arriva a Fabriano Francesco Caio, reduce dalla creazione di Omnitel. Uno choc, il primo passo verso la trasformazione in quella che l’imprenditore amava definire la «family public company». Che non prevede però i figli in azienda. Tre anni dopo Caio approda nel mondo Internet. Diventa amministratore delegato il «ragazzo di bottega» Andrea Guerra. Che nel 2004 va in Luxottica. Al suo posto sale Marco Milani, fino a quel momento amministratore delegato nel Regno Unito. Il gruppo, sempre più multinazionale con posizioni importanti e stabilimenti, oltre che in Italia, in Gran Bretagna, Russia, Polonia, Turchia cambia nome: Indesit company, un nome globale, meno family e più corporation.
Poi arriva la crisi, della finanza, dell’economia e degli elettrodomestici in particolare. E la malattia del capofamiglia. Vittorio, al quale i dipendenti nel 2003 per i suoi 70 anni hanno regalato la Ferrari di Michael Schumacher (senza motore), progressivamente lascia. E lascia anche la famiglia. Andrea nel 2013 rinuncia alla presidenza di Indesit e Milani assume il doppio incarico. Una scelta di continuità, viene definita. Ma alla fine arriva anche la decisione, difficile e sofferta, di separare destini familiari e aziendali. La «family public company» resterà comunque un modello. E non solo in Italia.
Sergio Bocconi