Dino Martirano, Corriere della Sera 12/7/2014, 12 luglio 2014
SENATO, I QUATTRO OSTACOLI DA SUPERARE IN AULA
Eliminazione del voto del Senato sulla legge di Stabilità, riduzione del numero dei deputati, platea più estesa per i «grandi elettori» del capo dello Stato, immunità parlamentare depotenziata per senatori e deputati. Sono almeno quattro le possibili modifiche alla riforma costituzionale approvata in commissione, spine nel fianco per il governo che, da lunedì, presidierà l’aula di Palazzo Madama con il ministro Maria Elena Boschi (insieme ai sottosegretari Pizzetti e Scalfarotto) per vigilare sulle migliaia di emendamenti in arrivo. Nella sua intervista al Corriere , la responsabile delle Riforme, pur parlando di «possibili ritocchi in aula», ha detto che «dentro il Pd c’era una linea chiara...». Ma ora, il Nuovo centrodestra pone una domanda spigolosa che, tra l’altro, era già stata sollevata da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sempre sul Corriere («I moltiplicatori di spesa»). Davvero, si va interrogando da giorni il coordinatore del Ncd, Gaetano Quagliariello, il Pd non vuole tornare alla prima stesura del testo Renzi-Delrio-Boschi? E sì, perché nell’articolato partorito da Palazzo Chigi il 12 marzo, il Senato dei 100 non aveva alcun potere di veto su legge di Stabilità e tributi rispetto alle decisioni della Camere, ma poi alla fine quel potere è rientrato dalla finestra nel testo governativo del 31 marzo. Ed ora è lì che attende la prova dell’aula.
A cambiare lo schema ci provano due emendamenti del Ncd. Il primo esclude la «procedura aggravata» (che obbliga la Camera ad aggiustare solo con maggioranza assoluta le correzioni del Senato) per la legge di Stabilità e i tributi: in caso contrario un pugno di deputati (il premio dell’Italicum alla Camera è 321, la maggioranza assoluta 316), in combine con i nuovi senatori eletti dai consiglieri regionali, potrebbe ricattare il governo sulla legge di spesa. La seconda opzione ncd istituisce un comitato paritetico (una terza Camera di compensazione) formato da 21 senatori e 21 deputati che, nei 7 giorni successivi alla eventuale modifica apportata al bilancio dal Senato, propone una soluzione alla Camera. Che comunque decide.
La seconda spina per il governo riguarda la proposta di riduzione del numero dei deputati (da 630 a 500) per accompagnare quella dei senatori (da 315 a 100). Sul punto si sono fatti avanti tutti i partiti e la minoranza del Pd guidata da Vannino Chiti ma l’emendamento più temibile è quello di 27 senatori del Pd estranei alla minoranza — tra i quali Lo Moro, Migliavacca, Russo, Gotor — ritirato in commissione per essere riproposto in aula.
Un fronte trasversale potrebbe poi cavalcare una battaglia già tentata senza successo dai relatori Finocchiaro e Calderoli. Quella che prevede di allargare, magari anche ai 73 parlamentari Ue, la platea dei «grandi elettori» chiamati ad eleggere il capo dello Stato in seduta comune. È vero, è stato alzato il quorum (la maggioranza assoluta scatta al 9° scrutinio e non più al 4°) ma grande è il timore che il partito che controlla la Camera con il premio di maggioranza poi possa accaparrarsi con pochi senatori anche il Quirinale. Infine c’è l’immunità, mantenuta per deputati e senatori, sulla quale il governo non esclude di limitare per tutti le prerogative alla sola insindacabilità. Dovrebbe essere mantenuta invece la norma di salvaguardia approvata in commissione che esclude lo scioglimento del solo Senato prima dell’attuazione della riforma.
Di tutto questo si discuterà in aula partire da lunedì alle 11. Ma la settimana è costellata di appuntamenti che scandiranno i voti sulla riforma. Martedì, il gruppo dei senatori del Pd vota al suo interno il testo Boschi mentre è ancora da capire se lo stesso giorno Berlusconi chiamerà a raccolta i suoi parlamentari. Mercoledì, potrebbe esserci il faccia a faccia tra Renzi e il M5S sulla legge elettorale, con la prospettiva che Beppe Grillo si metta in viaggio verso Roma per trattare. Alla vigilia, il sottosegretario del Pd , Lorenzo Guerini, assicura: «Credo che sulle riforme ci sarà compattezza in aula». Pietro Grasso, si concede infine una battuta: «Io ultimo presidente del Senato? Chi l’ha detto? Qualunque forma assumerà avrà altri presidenti dopo di me».
Dino Martirano