Marco Sodano, La Stampa 12/7/2014, 12 luglio 2014
I PIONIERI DEL BOOM VINCEVANO RISCRIVENDO IL SOGNO AMERICANO
La lavatrice, il frigorifero, il televisore, l’automobile: nei primi anni Cinquanta per la gente comune erano l’America, oggetti catapultati nei desideri degli italiani direttamente dal futuro. Nel 1953, l’anno in cui tre torinesi con l’occhio lungo fondarono la Spirea - solo otto anni dopo diventerà Indesit - il boom è tutto da venire. Eppure Armando Campioni, Adelchi Candellero e Filippo Gatta capiscono che a importare quel sogno si possono fare i soldi grossi. Scelgono gli elettrodomestici: lavatrici, frigoriferi, congelatori, lavastoviglie e cucine, registratori di cassa e televisori.
La crescita è, per l’appunto, da boom: nel corso dei vent’anni successivi Indesit diventa un colosso con otto stabilimenti. Tre nell’hinterland industriale del capoluogo piemontese (a None, Rivalta e Orbassano) e due nel Sud, a Teverola e Carinaro (provincia di Caserta), con dodicimila addetti. Nel frattempo l’Italia cambia faccia. Gli stipendi salgono e i commercianti inventano il credito al consumo, dalle strette di mano alle cambiali. Così gli oggetti del desiderio diventano alla portata di tutti. Il pagamento a rate innesca la corsa: quando anche gli operai possono permettersi di comprare la lavatrice (o la tv, o il frigo, o l’auto) che producono in fabbrica, presto permettono ai negozianti di fare lo stesso. Il salto dalla rivoluzione industriale ai consumi di massa è compiuto.
Indesit espande il suo mercato anche all’estero e mette un piede nell’innovazione. Il centro ricerca, uno dei più avanzati dell’epoca, nel 1972 propone alla Rai il suo sistema di trasmissione televisiva a colori. L’azienda cresce ancora, comperando altri marchi e diventando socia di Seleco. All’inizio degli Anni Ottanta comincia però a farsi sentire la concorrenza straniera: Indesit sembra aver perso la magia degli inizi, la capacità di produrre il sogno americano a costi più bassi e col tratto raffinato del design italiano. Industria, design, italianità.
Nel 1985 i dipendenti sono diventati settemila, l’azienda ha affrontato un lungo periodo di amministrazione controllata, è stata ricapitalizzata per 74 miliardi di lire e ha ceduto l’elettronica all’Olivetti. Non basta. Finisce in amministrazione straordinaria e ne esce solo grazie all’intervento del principale concorrente: nel 1987 la Merloni di Fabriano (Ariston) la rileva con un investimento da 50 miliardi, mettendone sul piatto altri cento per il rilancio. La Indesit diventa Merloni e torna a crescere: all’inizio degli anni Novanta il gruppo è secondo in Europa e arriva anche in Russia e in Cina. Ma lo spirito non è più quello degli anni d’oro, l’epoca in cui il fondatore della Ignis (e ingegnere honoris causa) Giovanni Borghi cambiò il materiale con cui si isolavano i frigoriferi. Lasciò la lana di vetro per il poliuretano espanso, e portò il peso del rivestimento dai 160 chili dei modelli americani a trenta. Una razza di pionieri capace di bagnare il naso anche allo zio Sam: Whirpool s’è presa solo una rivincita.