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 2014  luglio 12 Sabato calendario

«INDEGNO» MA ANCHE «IL PIU’ PREPARATO». CALDEROLI, IL MISTER HYDE DEL SENATO

Nella foto di un gruppo c’è un volto conosciuto: è sporco, brutto e cattivo. E indispensabile. In mezzo a quelle faccette fresche di rottamazione e rinnovamento, l’inamovibile (e impresentabile, secondo la diceria più disattesa della storia) è Roberto Calderoli. Il quale, sempre per le dicerie di prima, continua a essere indicato come il padre del porcellum, e cioè una specie di Frankenstein junior delle scienze istituzionali. «All’inizio mi arrabbiavo moltissimo, adesso non ci faccio più nemmeno caso», dice. Infatti tutti sanno - o dovrebbero sapere - che la «porcata» fu definizione del medesimo Calderoli il quale si lamentava di come la legge proporzionale voluta da Pierferdinando Casini (in cambio dell’ok al federalismo del 2006) fosse stata inquinata da Silvio Berlusconi (che abbassò la soglia per il premio), da Gianfranco Fini (che non volle le preferenze) e dal presidente Carlo Azeglio Ciampi (che chiese il premio per il Senato su base regionale). «L’ho raccontato in interviste mai smentite, e pure in aula al Senato, coi cinque stelle che mi ascoltavano muti. Mi aspettavo qualche replica, invece tutti zitti perché è noto che il porcellum non è roba mia».
Collassato martedì su un finger dell’aeroporto di Linate, Calderoli è caduto, si è frantumato medio e anulare della mano destra e soprattutto si è rotto una vertebra. «Lei ha la frattura di Neymar», gli ha detto il chirurgo. Calderoli, che è dentista, pensava di essere rimasto indietro con le novità mediche, «poi ho scoperto che Neymar è un centravanti brasiliano». Quando l’altro giorno è rientrato al Senato, l’intero emiciclo lo ha accolto con un applauso. Eppure, proprio un anno fa, il leghista bergamasco era il mostro di sempre, quello che dice culattoni ai gay e che infiammò il Medio Oriente con una t-shirt anti-islamica esibita in tv. Aveva paragonato Cécile Kyenge a un orango e il notabilato di sinistra (con volenterosi appoggi a destra, tipo quelli di Mara Carfagna e Giancarlo Galan) chiese le sue dimissioni da vicepresidente di Palazzo Madama. Fu premura del premier Enrico Letta, del presidente Pietro Grasso, di Pierluigi Bersani. Anche della giovane Maria Elena Boschi che dichiarò «irrimediabilmente perduta la dignità» del Calderoli a fianco del quale, dodici mesi dopo, siede sorridente per il traguardo più che dignitosamente raggiunto. La verità allora la disse Carlo Giovanardi: «Ha un doppia personalità». Infatti un classico dei leghisti è predicare bene e razzolare male, e in quei giorni al Senato tutti dicevano due cose: 1) «Non me lo attribuire». 2) «Speriamo non si dimetta, è il vicepresidente più bravo». Uno dei cinque stelle, Maurizio Buccarella, confidò: «Noi li vedevamo in tv e ci parevano tutti orrendi, invece ce ne sono di intelligenti e preparati, gran faticatori. Per esempio Calderoli». Lui gongola, ed è strano per uno che la sua immagine l’ha regolarmente presa a calci: «Sono contento che mi apprezzino. Vuol dire che ho lavorato bene. Quando mi sono svegliato in ospedale, avevo il telefonino pieno di messaggi. Il più gradito è stato quello di Anna Finocchiaro, donna capace e dolcissima. Alla fine, per portare a casa il risultato, hanno dovuto affidarsi a due ragazzi esperti e con un certo naso come lei e me».
Lo sapeva Umberto Bossi che nel 2003 si portò Calderoli a Lorenzago da Giulio Tremonti e dagli altri saggi del centrodestra. Si buttarono giù le basi della riforma federalista. «Io sapevo poco della materia, ma mi sono messo a studiare, ho fatto la spugna. Gente come Luciano Violante e Francesco D’Onofrio mi ha insegnato molto», dice oggi Calderoli. Tre anni dopo, il bicameralismo paritario era scomparso e i parlamentari erano stati ridotti da quasi mille a circa settecento, ma un referendum cancellò tutto: cose che è meglio ricordare quando si parla di casta. Il porcellum non funzionò anche a causa di quel referendum e fu Calderoli a trovare il modo di superarlo: «Una proposta di legge di due righe con cui si sarebbe tornati al mattarellum. Ma tutti quelli di sinistra, che inorridivano davanti al porcellum, non la votarono mai. Solo un gran bla bla. L’unico che mi ha sempre sostenuto è stato Giorgio Napolitano». A proposito: «Non è il mio presidente», disse Calderoli nel 2006. Da allora, di tanto in tanto, i due si vedono al Quirinale e parlano di riforme.