Alessandro Barbera, La Stampa 12/7/2014, 12 luglio 2014
IL PREMIER A CACCIA DI 12 MILIARDI
Ieri mattina nella sala riunioni di Matteo Renzi a Palazzo Chigi c’erano tutti e tre: il ministro Piercarlo Padoan, il ragioniere generale Daniele Franco, il commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli. In agenda: «Che fare». L’esito del Consiglio europeo non è stato entusiasmante, il governo ha ormai chiaro che per ottenere maggiore flessibilità di bilancio occorre andare avanti come treni nell’attuazione delle riforme. L’autunno incombe, e con esso il 15 ottobre, la data entro la quale Renzi dovrà aver deciso dove prendere le risorse per confermare il bonus da ottanta euro a dieci milioni di italiani. L’ipotesi che ciò non accada non è nemmeno contemplata, di qui l’urgenza di procedere su quella che fino a prova contraria è l’unica strada possibile: il taglio delle spese.
La sola conferma del bonus Irpef vale fra i dieci e gli undici miliardi di euro. Altri cinque o sei dovranno essere messi da parte per le cosiddette spese indifferibili, quattro sono già stati impegnati dalla legge di stabilità dell’anno scorso per coprire altre voci di spesa. Ci sarebbero poi da onorare alcune promesse: l’estensione del bonus a chi finora ne è stato escluso (pensionati, poveri, partite Iva), la garanzia della pensione per un altro gruppo di esodati, il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga laddove si rendesse necessaria. Al Tesoro danno per scontato che non si potrà accontentare tutti. Già escludendo queste ultime voci saranno necessari venti miliardi di euro.
Per il momento si spera nello scenario più ottimistico: uno spread stabile attorno ai 160-170 punti base (cioé una spesa per interessi sul debito sotto le previsioni del Documento di economia e finanza) e una crescita del Pil su base annua di almeno mezzo punto percentuale. Se la sorte sarà favorevole, a metà ottobre il governo dovrà avere coperture per la legge di Stabilità pari a 12-13 miliardi di euro. Meno dei 17 miliardi previsti da Letta, in ogni caso un impegno enorme se concentrato sulla riduzione dei costi. In teoria l’Europa potrebbe concedere all’Italia maggiore flessibilità, ma la trattativa è complicata dal fatto che la nuova Commissione europea si insedierà solo a novembre, dopo il termine di legge per la presentazione della legge di Stabilità.
Il primo tassello del piano di Cottarelli - almeno quello finora concordato - è il taglio delle partecipate dei Comuni: grazie alla banca dati messa a punto del dipartimento delle pari opportunità l’ex dirigente del Fondo monetario ha scoperto che in giro per l’Italia ci sono almeno duemila controllate con più amministratori che dipendenti, mille delle quali senza nessun addetto. Il commissario ha pronto un piano che permetterebbe a chi decide di chiudere o accorpare le società, di uscire dal Patto di stabilità interno, quello che pone vincoli rigidi alle spese persino se il Comune è virtuoso e il bilancio in attivo. Al Tesoro stanno accelerando anche con l’introduzione di costi e fabbisogni standard: un modo per costringere i sindaci a ridurre le previsioni di spesa grazie a parametri validi per tutti. Su entrambi questi punti il Tesoro punta a chiudere questo mese, dando così il tempo ai sindaci di rivedere gli obiettivi di bilancio entro il 30 settembre.
La gran parte dei risparmi nel 2015 dovranno arrivare in ogni caso dalla riduzione dei costi per acquisti e servizi della pubblica amministrazione. L’obiettivo di Cottarelli è raggiungere i 2,5 miliardi, e non sarà affatto semplice. Basti vedere come è andato a finire il tentativo di introdurre già quest’anno una centrale unica degli acquisti per i piccoli Comuni: l’Anci ha chiesto e ottenuto un rinvio al 2015. Oppure il ritardo con il quale stanno procedendo i decreti ministeriali, da quello di abolizione delle Province (risparmio previsto 300 milioni) o per la riduzione delle auto blu (altri 200 milioni). O ancora, ascoltare le parole di Marianna Madia a proposito dell’entità dei risparmi che arriveranno dalla riforma della pubblica amministrazione: «Sono contenta di non saperlo, perché la spending review non è un punto di partenza, semmai di arrivo». Eppure la schedina di Cottarelli diceva che quella voce dovrebbe contribuire già nel 2015 per un paio di miliardi di euro. Se il governo - come promette - non intende aumentare più le tasse, non ha alternative.