Maurizio Molinari, La Stampa 12/7/2014, 12 luglio 2014
DIMONA, LA CENTRALE DEI SEGRETI SI TROVA DI COLPO IN PRIMA LINEA
DIMONA, LA CENTRALE DEI SEGRETI SI TROVA DI COLPO IN PRIMA LINEA -
Tre mercoledì, uno ieri. Hamas ha lanciato quattro razzi in 48 ore su quest’angolo del deserto del Negev dove Israele custodisce i segreti più impenetrabili del proprio arsenale. I razzi adoperati sono gli M-75, gittata 80 km e fabbricati a Gaza, per sottolineare che il merito dell’exploit è solamente di Hamas. Impossibile ottenere commenti dai portavoce israeliani su razzi caduti da queste parti perché Dimona è un tabù per il governo sin dagli Anni Sessanta, quando David Ben Gurion e Shimon Peres acquistarono dalla Francia le componenti del reattore nucleare grazie al quale Israele possiede - secondo stime del Monterey Institute - fra 100 e 200 bombe atomiche.
Il «Centro di ricerche nucleari» si trova a 13 km dal centro città, ben visibile su una delle colline desertiche che la circondano, e rappresenta il vantaggio strategico di Israele sui propri vicini. Per questo il raiss iracheno Saddam Hussein cercò di colpirlo con gli Scud B durante la Guerra del Golfo del 1991, gli Hezbollah provarono a raggiungerlo con un drone iraniano nel 2013 e ora Hamas ripete il tentativo di bersagliarlo con i propri M-75 «made in Palestine».
«Siamo stati noi, abbiamo lanciato razzi contro l’impianto nucleare di Dimona, è una delle sorprese che abbiamo in serbo per il nemico sionista» afferma con evidente soddisfazione il portavoce di Hamas, Mushir Al Masri, rivendicando da Gaza l’attacco ad uno dei simboli della sicurezza dello Stato ebraico. È lo stesso motivo per cui Hamas lancia razzi contro Gerusalemme, Tel Aviv e l’aeroporto internazionale Ben Gurion: assieme a Dimona sono i luoghi-simbolo di Israele che il mondo conosce. Attaccarli significa dunque riuscire a sfidare a viso aperto il «nemico sionista», puntando a indebolirlo dal di dentro, dimostrando alla comunità internazionale che può essere sconfitto.
Nel mercato coperto all’angolo fra le strade Igal Allon e Hamapilim i razzi di Hamas sono un argomento di discussione per molti. Moshe, oltre 70 anni, è il titolare di una pescheria che vende solo prodotti congelati - siamo in mezzo al deserto - e dei primi tre M-75 sa quasi tutto: «Ci sono passati sulla testa, abbiamo avuto paura perché non ci aspettavamo l’allerta, poi sono stati intercettati dall’Iron Dome ma uno è riuscito a cadere in terra, conficcandosi poco lontano dal bordo della piscina comunale, dove in molti lo abbiamo visto». Nella vicina farmacia - con le scritte in cirillico per attirare la clientela dei nuovi immigrati russi - c’è una discussione animata fra chi considera i quattro M-75 una «sfida a cui rispondere» oppure «una dimostrazione di debolezza da ignorare».
Colpisce come gli immigrati russi - come anche quelli etiopi - siano i più duri, aspri nel linguaggio e nella sostanza, nei confronti di Hamas mentre nelle vesti di moderati-pacifisti ci sono i giovani israeliani di cui si sa solo che stanno per vestire la divisa. Il barbiere «Oren» è il negozio più affollato in un mercato che si svuota rapidamente - siamo alla vigilia del sabato, giorno ebraico del riposo - con le tv sempre accese attesa di annunci sui lanci e un rifugio antibomba è stato trasformato in night club, «perché vogliamo vivere, esorcizzando i pericoli», assicura il proprietario. Fra acquisti di frutta e pistacchi, ricevitorie del lotto aperte fino alla soglia dello Shabbat e badanti indiane alla ricerca di aromi, abitanti e commercianti di Dimona ammettono «la sorpresa per i razzi arrivati» pur confermando fiducia nelle forze armate.
In realtà il tabù della sicurezza di Dimona è caduto, chi ci vive non si sente più intoccabile e quella testa di ordigno conficcato «vicino alla piscina» è destinata a trasformarsi nel simbolo della precarietà in un luogo che si riteneva blindato, iperprotetto. Sono queste le «emergenze domestiche» di cui deve occuparsi il comandante Levy Itah, capo della «Allerta interna» delle forze armate, ovvero le difese civili e passive che aiutano i militari a lavorare meglio e in fretta se la necessità lo richiede. «Non fatemi parlare di Dimona, mi è proibito» dice Itah, preferendo soffermarsi su quanto sta avvenendo nel resto di Israele: «Gruppi di volontari organizzati dalle municipalità per aiutare malati e anziani, nuove radio per informare la popolazione sulle allerte-missili, numeri verdi per consentire ai cittadini di essere loro a farsi avanti, chiedendo aiuti per le esigenze più differenti». È una galassia di micro-iniziative locali che le forze armate si limitano a coordinare e razionalizzare puntando a rafforzare il «fronte interno», nella consapevolezza che potrebbe subire l’impatto più duro in caso di invasione a Gaza.