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 2014  luglio 12 Sabato calendario

FORSYTH: «I PAESI AMICI NON ESISTONO»

«Entro certi limiti spiarsi tra amici e alleati è una cosa che è sempre successa, ma la verità è che gli Stati Uniti non si sono mai fidati molto della Germania, fin dai tempi della Guerra Fredda, e nel mondo dello spionaggio è difficile cambiare abitudini». Un mondo di cui Frederick Forsyth si intende, prima per averlo frequentato come giornalista della Bbc seguendo intrighi e conflitti su ogni fronte, poi raccontandolo nei suoi tanti documentatissimi romanzi, frutto di stretti contatti con i servizi segreti, da «Il giorno dello sciacallo» a «I mastini della guerra» a «Il vendicatore», tutti diventati best-seller internazionali, fino all’ultimo, «La lista nera», pubblicato da pochi mesi. Per questo il 76enne scrittore britannico viene spesso interpellato dai media del suo paese come un esperto della materia, quella vera, non soltanto quella romanzesca. L’espulsione del capo della Cia da Berlino quindi non lo sorprende: «Ma non escludo», dice in questa intervista a Repubblica con una risata, «che abbia sorpreso il presidente Obama, quando lo ha saputo».
È normale che un paese cerchi di infiltrare l’intelligence di un paese alleato?
«In certa misura è sempre accaduto. Nel mondo dello spionaggio non ci sono amici, o quasi, con l’eccezione di Stati Uniti e Gran Bretagna che lavorano molto insieme e da molto tempo, ai quali si possono aggiungere, a un livello di condivisione forse un po’ più basso, i servizi segreti degli altri paesi di lingua inglese, Australia, Canada e Nuova Zelanda, i cosiddetti Five Eyes, i cinque occhi che cooperano tra di loro. L’amicizia esistente tra gli Usa e gli altri paesi occidentali, dal dopoguerra in poi tradizionali alleati di Washington all’interno della Nato, è una cosa diversa: la condivisione dell’intelligence con loro non c’era. E ci sono stati casi in cui l’America li spiava, come del resto hanno reso noto le rivelazioni del caso Snowden sul Datagate».
Ma la Germania non è un alleato di ferro degli Usa?
«Formalmente sì. In pratica è noto che Washington non si è sempre fidato di Berlino. Anche e soprattutto negli anni della Guerra Fredda. Non solo perché i tedeschi potevano avere obiettivi diversi dagli americani, ma pure perché c’era il timore che fra di loro ci fossero più possibilità di infiltrazioni, di doppiogiochisti, di gente che lavorava per l’altra parte, ossia per l’Urss e i suoi alleati comunisti».
Questo però sembra un caso diverso e più grave.
«La radice tuttavia potrebbe essere la stessa: fiducia insufficiente in quello che Berlino vuole fare, magari proprio nei rapporti con la Russia. Abbiamo visto più volte negli ultimi anni che Stati Uniti e Germania prendono posizioni contrapposte, dall’intervento in Iraq alla questione dell’Ucraina. Dietro tutto questo c’è un lavoro di intelligence su cui Washington può avere interesse a sapere qualcosa di più di quello che dicono i portavoce della Merkel».
La stessa cancelliera in effetti ha scoperto di avere il proprio telefonino sotto controllo da parte della National Security Agency.
«Non mi sorprenderei se gli Usa mettessero le cimici all’intero governo tedesco. Le vecchie abitudini, recita un detto, sono dure a morire, e quelle formate negli anni della Guerra Fredda sono ancora più resistenti. La Cia non si fida del tutto della Germania e ogni tanto prova a dare un’occhiata dietro le quinte».
Il danno di una spia espulsa e di una relazione in crisi con Berlino non è maggiore delle informazioni eventualmente raccolte?
«Probabilmente sì. Infatti non credo che sentiremo vibrate proteste da parte americana per l’espulsione del capo della stazione Cia di Berlino. Non escludo che Obama, quando l’ha saputo, sia rimasto sorpreso e si sia arrabbiato: non è che il presidente sa tutto quello che fanno i suoi agenti. Qualcuno ha avuto un eccesso di zelo e ora i due paesi stanno già dicendo che lavoreranno per riparare una relazione a cui entrambi tengono molto. Obama telefonerà alla Merkel, si scuserà, darà la colpa ai suoi 007, prometterà che non capiterà più, anche se, dopo la faccenda del telefonino della cancelliera spiato, Angela farà soltanto finta di crederci».
Dunque è stato giusto espellere l’uomo della Cia dalla Germania, una ritorsione senza precedenti?
«Era una ritorsione inevitabile. Ma ricordiamoci che negli affari di spionaggio l’opinione pubblica viene a conoscenza soltanto delle missioni fallite, degli errori, degli incidenti: vediamo solo la punta dell’iceberg. Quando una missione ha successo, e in genere è la maggior parte delle volte, nessuno viene a sapere nulla».
In conclusione, un episodio decisamente da romanzo. Finirà in qualcuno dei suoi libri?
«Qualcosa del genere ci è già finito, per dire la verità. Ma non è la fantasia precede la realtà: basta conoscere un po’ da vicino come funziona il mondo dello spionaggio per sapere che cose di questo tipo accadono. Anche se di solito non finiscono sui giornali».