Rocco Cotroneo, Sette 11/7/2014, 11 luglio 2014
LIBERTÀ PER GLI SCHIAVI
Ogni giorno in Brasile almeno cinque persone sono liberate dalla schiavitù. Il dato è impressionante, e arriva dal ministero del Lavoro che da anni è impegnato a combattere un fenomeno ancora assai diffuso, soprattutto nelle aree rurali più remote del Brasile. Per lavoro schiavo, nel Terzo millennio, si intendono le condizioni di lavoro degradanti, dove proprietari terrieri senza scrupoli attirano contadini in fazendas isolate, e li pagano con salari sotto i livelli minimi garantiti per legge, oppure appena con vitto e alloggio. Secondo gli ultimi dati del governo, da quando è stata messa in piedi la task force a metà degli anni Novanta, oltre 46.000 lavoratori in tutto il Brasile sono stati “liberati”. Lo Stato di Minas Gerais è in testa alla lista, seguito dal Parà, Goias, San Paolo e Tocantins. Quasi la metà dei moderni schiavi sono utilizzati nell’allevamento del bestiame, seguito dall’estrazione del legno, l’agricoltura e infine nell’industria delle costruzioni. Il lavoro di ricerca, spesso difficile e ostacolato dai boss locali, avviene attraverso le denunce dei sindacati e della Pastorale della Terra, un’entità legata alla Chiesa Cattolica. Dopo i blitz, i lavoratori vengono liberati e i responsabili sono obbligati a pagare tutti i debiti pregressi, salari non riconosciuti e contributi previdenziali. La legge è andata via via rafforzandosi negli ultimi anni, e chi viene colto in flagrante può arrivare a perdere la proprietà delle terre. La normativa punisce anche la cosiddetta figura del “gatto”, la persona che agisce da intermediario tra il proprietario e i futuri schiavi. L’illusione è sempre quella di un lavoro temporaneo e molto ben retribuito, lontano dalla regione di residenza. Una volta arrivati a destinazione, e non sapendo come tornare indietro, i contadini cadono nell’inganno. Il ministero del Lavoro tiene aggiornata una “lista nera” delle aziende sospettate: vengono tenute sotto osservazione per un periodo di due anni e si può arrivare alla cessazione forzata della loro attività. Attualmente nella lista ci sono 609 nomi.