Aldo Grasso, Corriere della Sera 11/7/2014, 11 luglio 2014
IL RACCONTO DEL CICLISMO E LA RETORICA DI CARESSA
Nella stessa giornata, quella di mercoledì, due grandi eventi sportivi di segno opposto: l’uno all’insegna del coraggio, l’altro della noia, la noia ferale. Stiamo sempre qui a parlare dei Mondiali di calcio e ci dimentichiamo che si corre il Tour de France e che Vincenzo Nibali è maglia gialla.
In una tappa durissima, quella del pavé, così temuta così rispettata, Nibali ha fatto vedere di che stoffa è fatto. Il misterioso Chris Froome si è ritirato dopo l’ennesima caduta, non stava più in piedi. I temibili Contador, Valverde, Talansky per ora non fanno paura. Certo, come si dice, il Tour è ancora lungo, ma è anche bello e solo nelle bellezza gli eventi si dispongono con disordinato rigore.
Il Tour è più racconto del calcio e quest’anno gli organizzatori (trasferta in Gran Bretagna e pavé) hanno deciso che la corsa partisse in medias res, senza tanti preamboli per soli velocisti.
Da quando RaiSport (telecronaca di Francesco Pancani, commento tecnico di Silvio Martinello, più i contributi di Alessandra De Stefano) ed Eurosport (telecronaca di Salvo Aiello e commento tecnico di Riccardo Magini) danno più spazio alla corsa, le parole pesano non poco. Solo le pietre che portano ad Arenberg le assottigliano, le levigano, le puliscono.
Nei Mondiali brasiliani è successo il contrario. Per uno strano virus contratto sula spiaggia di Copacabana i telecronisti sono andati fuori di testa. Mai zitti un secondo, mai prudenti, mai pertinenti. I peggiori vezzi retorici sono scesi in campo, fluttuando capricciosamente come nastri al vento. Le telecronache del calcio, specie con Fabio Caressa, sono sdilinquimenti da Casa Vianello.
La più bella tappa del Tour (finora) contro la più brutta partita dei Mondiali (Olanda-Argentina): i fatti aiutano le telecronache, ma quando si parla molto inevitabilmente si dice sempre qualcosa di troppo.