Daniela Monti, Corriere della Sera 11/7/2014, 11 luglio 2014
«SONO SEMPRE STATO UN TEDESCO, PERÒ CON AMORE. PASSATEMPI? COLLEZIONO LE CASE E ANCHE I GATTI»
[Giorgio Armani] –
«Mi dà fastidio invecchiare. Sento un’angoscia sottile quando il pensiero migliora e si affina, mentre il corpo lentamente decade. Vorrei fermare tutto a questa età». Era il 1977, Giorgio Armani aveva solo 43 anni, l’età in cui oggi gli stilisti sono ancora chiamati «giovani promesse» con quasi tutto da dimostrare. Parlando con Cosmopolitan, Armani accenna già al tarlo del tempo che passa troppo in fretta, su cui poi tornerà molte e molte altre volte nella sua lunga carriera («Voglio continuare a seguire tutto, a occuparmi di tutto e l’ultima parola sarà sempre la mia — dirà nel 2010 —. Non me ne frega niente di una pensione super dorata. Non saprei cosa farmene. Questa è la mia vita, non ne ho un’altra e non la desidero nemmeno. Potendo, vorrei cambiare soltanto l’età»). Da quella prima intervista sono trascorsi 37 anni e oggi che festeggia gli 80 tondi — Armani è nato a Piacenza l’11 luglio 1934 — lo stilista vorrebbe che la data gli scivolasse addosso veloce, tutto rinviato ad un anniversario più importante, quel 24 luglio 2015 in cui non lui, ma la sua moda — e, in fondo, sono la stessa cosa — compirà 40 anni dalla fondazione della Giorgio Armani spa .
Se Armani glissa, è un libro a raccontare i suoi primi 80 anni attraverso la voce e le battute di uno che lo conosce proprio bene: «I cretini non sono mai eleganti», scritto per Rizzoli dalla collega del Corriere Paola Pollo, racconta Giorgio Armani utilizzando le parole che lo stilista ha usato per descrivere se stesso in quarant’anni di interviste ai giornali di tutto il mondo. «Confesso che, nel cominciare questo lavoro di ricerca, mi aspettavo malignamente di pizzicare l’uomo, lo stilista, in flagrante — scrive Pollo —. Magari un’affermazione fatta e poi smentita, un giudizio ricreduto, uno sbaglio mai ammesso». E cosa trova invece? «Armani è la coerenza fatta persona. Il suo percorso umano, lavorativo, sociale è quello che lui ha voluto e che gli appartiene. Senza compromessi».
Se esiste uno «stile Milano», in cui il lavoro si sovrappone perfettamente all’esistenza, Armani ne è il suo campione. Il successo facile gli dà sui nervi, detesta i furbi, i faciloni, quelli che si impossessano di allori che non meritano. Fa quasi paura tanto è concentrato sulla sua creatività. «C’è chi mi giudica poco disponibile, asociale, orso, perché per lavorare rinuncio spesso a stare con la gente e spesso mi dispiace», dice. «Ho scelto di fare del mio lavoro la mia vita. Forse per qualcuno come Valentino è diverso. Ha una vita sociale molto attiva e frequenta un certo tipo di mondo; io francamente non ho il tempo per questo. Ho dovuto decidere che il mio lavoro mi sarebbe piaciuto. Ogni mattina quando mi sveglio e salto giù dal letto come facevo trent’anni fa penso: Mio Dio, perché non te ne resti a letto e ti rilassi, ti fai una bella colazione?».
Già, una bella colazione, una bella vacanza. «Non sopporto quelli che fanno una vacanza come se stessero in città, che passano da un locale all’altro con un bicchiere in mano. Perdere coscienza di se stessi è da idioti. Alla cicala preferisco la formica ma capisco che può diventare un disagio psicologico sociale non andare via per l’estate».
È negli Anni Ottanta che la sua carriera decolla a livello mondiale. Complici gli abiti disegnati per American Gigolò , nel 1980, e la copertina che Time gli dedicò due anni dopo (unico precedente nel campo della moda: Christian Dior). Mai negato di essere ambizioso: «La bontà mi sembra una qualità un po’ modesta — dice — ma l’ambizione è una grande qualità». Così nel 2005 non si nasconde dietro falsa umiltà per quell’appellativo «Re Giorgio» che gli viene rivolto sempre più spesso. Anzi. «Il titolo Re Giorgio è vecchio di vent’anni e mi piace proprio! Dopotutto non chiamano Karl Lagerfeld “il Kaiser”? Il soprannome “l’Imperatore” deriva da un mio recente viaggio in Cina. Spero proprio che non finiscano per chiamarmi “Sua Santità” perché sarebbe imbarazzante».
La sua non è la Milano di chi si danna per acquistare potere, vero o fittizio, da esibire. «Lo stile di Milano lo sintetizzerei con tre D: discrezione, disciplina, dovere. In un mondo che tende alla cialtroneria, all’anarchia dei comportamenti e alla furberia, ben venga il calvinismo milanese!». È la Milano della concretezza, dei sacrifici, (anche) dei soldi. A Ermanno Rea, nell’84, confessava: «Dicono che io sia come Sophia Loren che teme sempre di perdere il denaro che ha fatto. Hanno ragione. Io di denaro ne ho sempre avuto molto poco nella mia vita. E non l’ho mai eccessivamente desiderato. Adesso però che mi è arrivato, voglio tenermelo. Ci tengo». A farlo arrabbiare, sono i corridoi vuoti: «Non mi sveglio mai incazzato, anzi sono felice di andare al lavoro, corro. Poi arrivo e vedo i corridoi vuoti e allora sì m’incazzo, ma mi passa presto».
Gli svaghi sono pochi. C’è la casa di Pantelleria, che con il passare degli anni cresce, diventano una sorta di piccolo villaggio sul mare. Poco altro. A chi gli chiede dei passatempi risponde: «Non so se ho passatempi. Ma colleziono le case e anche i gatti». E ancora: «Sono sempre stato un tedesco, però con amore. A casa se mi siedo in poltrona e c’è qualcosa fuori posto in fondo alla stanza, mi alzo e vado a sistemarla come deve essere». Le barzellette lo imbarazzano: «Non ne racconto mai, mi dimentico subito e poi trovo tremendo aspettare il prorompere di una risata».
E poi c’è la famiglia. «Alla famiglia si torna sempre. Anzi, l’unica cosa che ha un senso è la famiglia. Quando pensi che puoi lasciarla e andare in giro per il mondo a fare la tua vita, alla fine c’è un momento in cui la famiglia ti serve e rientrare nei tuoi affetti, ricordare incazzature e momenti felici vissuti insieme ti serve a ricostruire chi sei, da dove vieni. Nei momenti di duro lavoro, di preoccupazione, chiamavo sempre mia madre e le chiedevo di andare a cena da lei». Troppo duro? Sì, e non lo nasconde. «Non ho trascorso la mia gioventù all’Aiglon College in Svizzera. Non sono amico dei figli di Agnelli. È una vita dura. Non lo dico per attirare la vostra simpatia, ma è dura. Sono solo», dice a Vanity Fair Usa nel 2000.
Infine il suo impero economico, con ricavi per 2 miliardi di euro l’anno. «C’è sempre un momento nelle interviste in cui salta fuori questa storia. Allora è il momento di fare chiarezza. Io non venderò mai perché non ne ho alcun bisogno e non ne ho alcuna voglia. E nemmeno mai mi farò da parte finché posso reggere, qui tocco ferro, a questi ritmi». Quanto all’eleganza, che ha orientato tutta la sua vita, lavorativa e no, ne fa una faccenda semplice: «La chiamo la regola di Cary Grant: “Vestiti in modo che quando vedi una tua foto, non sia in grado di attribuirle una data”. Lui sapeva che cos’è l’eleganza e la praticava».
Ha sempre detestato perdere tempo, a 50 anni e a maggior ragione adesso. Nel 1990 congedò così la giornalista del Sunday Times: «Non sono un tipo difficile, ma sono molto diretto. Ora ho una riunione. Arrivederci».