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 2014  luglio 11 Venerdì calendario

ELETTI I MAGISTRATI DEL SOTTOSEGRETARIO NEL CSM ENTRA SOLTANTO UNA DONNA


ROMA — A voler sintetizzare: vincono sinistra e destra, perde il centro. Questo dice l’esito delle elezioni della componente togata del nuovo Consiglio superiore della magistratura. Il cartello chiamato Area, che riunisce le correnti Magistratura democratica e Movimento per la giustizia, conquista sette seggi rispetto ai sei della consiliatura che si chiude, mentre il gruppo conservatore Magistratura indipendente passa da tre a quattro; i «moderati» di Unità per la costituzione perdono un rappresentante scendendo da sei a cinque.
Nessuno dei candidati fuori dalle sigle tradizionali è riuscito a entrare nell’organo di autogoverno. E c’è una sola donna, sebbene sia la candidata che ha raccolto il più alto numero di consensi: 2.498 voti per Mirella San Giorgio, consigliere di Cassazione. Tra i nomi dei neo-eletti che più di altri hanno calcato le cronache ci sono l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, il giudice palermitano Piergiorgio Morosini che ha rinviato a giudizio gli imputati nel processo sulla trattativa Stato-mafia, il pm napoletano anticamorra Antonello Ardituro, il giudice di Cassazione Ercole Aprile, membro del collegio che un anno fa rese definitiva la condanna di Silvio Berlusconi.
I giochi delle elezioni togate sono dunque fatti, e il risultato è che il sistema delle correnti tiene, nonostante le critiche ricorrenti ai metodi con cui hanno gestito il governo autonomo, dalle nomine dei dirigenti al sistema disciplinare. E al loro interno, come già avevano dimostrato le primarie da cui sono usciti i candidati, i segnali di novità si alternano con la conferma di vecchie logiche. Ora sarà il Parlamento a dover completare il quadro, eleggendo gli otto consiglieri «laici», ma ancora ieri la seduta comune di deputati e senatori non ha prodotto alcun effetto. Secondo gli attuali rapporti di forza, cinque nomi dovranno essere indicati dalla maggioranza (quattro Pd e uno del Ncd ) e tre dalle opposizioni (Cinque Stelle, Forza Italia, Lega). Tra i nomi scelti dal Pd ci sarà verosimilmente il vicepresidente che, in accordo con il capo dello Stato che lo presiede come previsto dalla Costituzione, guiderà il Csm nei prossimi quattro anni.
Ma al di là della tenuta delle correnti e degli equilibri che si comporranno dopo la nomina dei «laici», in queste elezioni c’è un vincitore certo con nome e cognome: Cosimo Ferri, magistrato prestato al potere esecutivo, sottosegretario alla Giustizia del governo Renzi, tuttora guida indiscussa di Magistratura indipendente. Le polemiche seguite alla notizia del suo ormai famoso sms di sostegno a due candidati della corrente, non hanno avuto alcun contraccolpo negativo. Anzi, i nomi da lui sponsorizzati hanno avuto grande successo: Luca Forteleoni, sostituto procuratore della Repubblica di Nuoro non particolarmente noto fino al messaggio telefonico del capocorrente-sottosegretario, è stato il pm più votato, con 1.571 preferenze; il giudice romano Lorenzo Pontecorvo è arrivato quinto su dieci nella sua categoria, con 616 voti (alle primarie ne aveva avuti 379). Tra i giudici il più votato è risultato un altro candidato di Mi considerato vicino a Ferri, Claudio Galoppi in servizio al tribunale di Milano, con 792 preferenze, mentre l’esponente del gruppo appartenente alla componente anti Ferri — Aldo Morgigni, che aveva pubblicamente denunciato l’invasione di campo del sottosegretario-capocorrente — s’è piazzato settimo con 583 voti. Il peso delle indicazioni di Ferri viene anche confermato dal fatto che il candidato di Mi per la Cassazione, Giuseppe Corasaniti, è andato ben al di sotto dei voti su cui poteva contare la corrente: il motivo, dicono i bene informati, sarebbe il mancato appoggio del sottosegretario.
Dunque l’influenza del magistrato che fu il più giovane componente del Csm esce rafforzata. Al punto che tra le toghe circola una battuta: nel nuovo Consiglio i «laici» saranno dieci, gli otto nominati dal Parlamento più i due scelti da Ferri. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che nei suoi programmi di riforma sulla giustizia va pubblicizzando d continuo lo slogan «carriere per merito e non per appartenenza alle correnti», e all’indomani del sms elettorale del sottosegretario-capocorrente ha giudicato «indifendibile» la vicenda, non è tornato sull’argomento. Al pari del ministro della Giustizia Orlando, dopo il colloquio avuto con Ferri lunedì sera. Il sottosegretario ritiene di aver semplicemente esercitato un suo diritto, dunque non ha mai pensato di dimettersi. Il problema resta invece per Renzi: anche lui ritiene che tutto sia normale? Tra i neo-eletti al Csm, Luca Palamara commenta: «Fermo restando il rispetto per il risultato elettorale, in questo episodio è emersa in tutta chiarezza l’oggettiva anomalia di un sottosegretario che di fatto continua a svolgere anche il ruolo di capocorrente».