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 2014  luglio 11 Venerdì calendario

DA FORMIGONI A ERRANI, LA CADUTA DEI GOVERNATORI 2010


ROMA — Braccato dalla giustizia, c’è chi sta vedendo evaporare una folgorante carriera politica. Chi, invece, ha dovuto gettare la spugna per cause esterne alla sua volontà. Ma pure chi è caduto in piedi non ha potuto sfuggire alla maledizione: quella che ha colpito la classe dei governatori eletti nel 2010.
Prendete Vasco Errani. Aveva superato indenne tutte le polemiche (e i ricorsi) contro la sua ennesima rielezione, la quarta di seguito. Motivazione, la legge con la quale si è stabilito il termine massimo di due mandati è entrata in vigore quando già il presidente dell’Emilia-Romagna, al pari di quello della Lombardia, stava completando il secondo giro. In base a questa interpretazione sarebbe rimasto fino al 2015, quando ecco l’imprevisto. I giudici lo condannano a un anno per la vicenda Terremerse. E insensibile ai richiami di Matteo Renzi Errani decide per le dimissioni irrevocabili. Dopo quindici anni ininterrotti alla guida della Regione, e diciannove di presenza nella giunta.
Ma non avrebbe comunque potuto battere il record del governatore della Lombardia Roberto Formigoni, che ha avuto in mano lo scettro della Regione più ricca d’Italia per la bellezza di quasi 18 anni. Fra i politici in attività in Europa soltanto il presidente della Bielorussia Aleksandr Lukašenko, che giusto ieri 10 luglio ha superato i 20 anni di permanenza al trono, è stato al potere più di lui. Formigoni si è dimesso dopo aver concordato la dissoluzione della giunta e di un consiglio regionale nel quale la Lega Nord aveva chiesto la sua testa, bersagliata in quel momento dalle inchieste giudiziarie. Avrebbe voluto mantenere un piede a Milano, come commissario generale dell’Expo, incarico piuttosto singolare avuto dal governo di Silvio Berlusconi. Ma ha dovuto mollare anche quello. Si può consolare: eletto in Senato con il Popolo della libertà nel 2013, è passato con Ncd e ora è nella maggioranza che sostiene il governo di Matteo Renzi.
Non bastasse, è presidente della commissione Agricoltura di palazzo Madama.
Renata Polverini ha fatto una scelta politica diversa: è rimasta con Berlusconi. Ma come Formigoni è caduta in piedi. L’hanno eletta in Parlamento nel 2013, a dispetto di un passaggio meteorico alla presidenza della Regione Lazio, peraltro concluso nel peggiore dei modi. Nel settembre del 2012 la sua giunta cola a picco insieme al consiglio regionale affondato dallo scandalo dei fondi milionari dei gruppi politici consiliari, di cui è stato indiscusso portabandiera Franco Fiorito, il «Batman» di Anagni. Quando scoppia quell caso, l’ex segretaria del sindacato di destra Ugl fa tappezzare Roma con migliaia di manifesti da cui proclama: «Questa gente la mando a casa io». Una settimana dopo pure lei comincia a fare le valige.
L’uscita di scena di Roberto Cota, invece, non ha avuto nulla a che fare con questioni del genere. Anche se la faccenda delle mutande color verde Lega comprate, pare, con i soldi del partito ha fatto il giro del mondo: e di sicuro, insieme all’inchiesta che si è abbattuta sul consiglio regionale per l’uso dei contributi pubblici, non è stata un bel viatico. Il governatore del Piemonte se n’è dovuto andare per decisione dei magistrati amministrativi, che hanno dato ragione alla sua avversaria Mercedes Bresso circa alcune irregolarità nelle firme per le liste elettorali. Commesse tre anni prima: complimenti per la tempestività.
E pure la parabola del presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti è stata decisa da una vecchia vicenda. Però molto più pesante, al punto da provocargli una condanna a sei anni di reclusione per falso e abuso d’ufficio. Storie d’altri tempi, quando il Nostro era sindaco di Reggio Calabria. Accompagnato alla porta dalla legge che porta il nome dell’ex ministro di Giustizia Paola Severino, la quale stabilisce la decadenza degli amministratori condannati, ha subito anche i pesantissimi rilievi di un ispettore della Ragioneria, rivelati da Antonio Ricchio sul Corriere della Calabria, a proposito delle irregolarità commesse nella gestione del personale dalla sua giunta regionale e da quella precedente di Agazio Loiero.
Ma almeno non rischia le manette, come l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan. Per lui i giudici hanno chiesto l’arresto, ritenendolo una delle pedine chiave dello scandalo del Mose, le dighe mobili che dovrebbero mettere Venezia al riparo del fenomeno dell’acqua alta. Si è difeso come un leone, per adesso anche al riparo dell’immunità parlamentare. Sicurissimo di essere rieletto per un quarto mandato come Errani e Formigoni, nel 2010 Galan ha invece dovuto mollare la presidenza della Regione che occupava ininterrottamente da 15 anni perché il posto era stato prenotato dalla Lega Nord per Luca Zaia. Non l’ha digerita. Ma è stato più che ben ripagato. Due volte ministro e ora deputato: presidente della commissione Cultura della Camera. Prima del diluvio.