Vittorio Sabadin, La Stampa 11/7/2014, 11 luglio 2014
La città dove è stata scritta la trama della Guerra Fredda Urss e Stati Uniti qui si sfidarono a colpi di cimici, soffiate e spie Vittorio Sabadin Per chi è appassionato di storie di spie, per chi ha divorato i romanzi di John Le Carré, Philip Kerr e Len Deighton, Berlino è unanimemente considerata la capitale del mondo
La città dove è stata scritta la trama della Guerra Fredda Urss e Stati Uniti qui si sfidarono a colpi di cimici, soffiate e spie Vittorio Sabadin Per chi è appassionato di storie di spie, per chi ha divorato i romanzi di John Le Carré, Philip Kerr e Len Deighton, Berlino è unanimemente considerata la capitale del mondo. In nessuna altra città lo spionaggio si è conquistato un ruolo così diffuso e permanente, ha creato in continuazione personaggi entrati nel mito e luoghi così simbolici da diventare attrazioni turistiche. Posta al centro dell’Europa, al confine tra l’Est e l’Ovest, capitale prima di un impero e poi di un Paese che tende a non lasciare in pace i suoi vicini, Berlino è sempre stato il luogo dove bisognava andare per origliare quello che stava per accadere. Prima della Seconda guerra mondiale, il bar del magnifico hotel Adlon, al numero 1 di Unter den Linden, a pochi passi dalla Porta di Brandeburgo, era il posto giusto dove stare. L’ambasciata britannica era dall’altra parte della strada e tutto il mondo si trovava lì la sera, come da Rick’s in «Casablanca». Distrutto l’Adlon dalle bombe alleate, il luogo dove trovarsi dopo la guerra divenne il caffè Adler, nella zona occidentale, poco lontano dal Checkpoint Charlie. Giornalisti, spie, faccendieri, donne seducenti e doppiogiochisti cercavano tutti informazioni, con un gioco così scoperto da risultare spesso grottesco. Durante la guerra fredda, prima e dopo la costruzione del Muro nel 1961, lo spionaggio era così diffuso che era diventata un’abitudine lasciare fare, e cercare anzi di approfittarne ingannando il nemico. La storia dell’Operation Gold, negli Anni 50, da questo punto di vista è da manuale. Le comunicazioni via radio dei sovietici venivano regolarmente intercettate dagli americani e così Mosca aveva deciso di servirsi solo di trasmissioni via cavo. La Cia e l’Mi6 britannico scavarono allora un tunnel di quasi 500 metri, che partiva dal settore Ovest di Berlino, per raggiungere un cavo di trasmissione che si trovava a 60 centimetri di profondità nel settore Est. Mentre inglesi e americani litigavano quasi ogni giorno su come procedere, la spia George Blake avvisò i sovietici, che si divertirono a trasmettere per un po’ su quel cavo informazioni fasulle, prima di denunciare di avere scoperto il tunnel proprio mentre Krusciov era in visita dalla regina Elisabetta. Oggi Berlino può guardare a quel periodo con divertita leggerezza e trasformare la guerra delle spie in un affascinante percorso turistico. Si può visitare il Tenfelsberg, il Monte del Diavolo realizzato con le rovine della città bombardata, sul quale gli americani avevano installato un potente centro di ascolto, dismesso nel 1991. E ovviamente il Glienickebrücke, il ponte sul fiume Havel al confine tra Potsdam e Berlino, sopra il quale venivano scambiate le spie: Rudolf Abel in cambio di Francy Gary Powers, il pilota dell’U2 abbattuto sulla Russia; 23 agenti americani in cambio del polacco Marian Zacharski; il dissidente Anatoly Sharansky in cambio di Karl Koecher e altri quattro agenti del Kgb. Berlino ha ormai un museo per ogni episodio del suo passato. C’è l’Unterwerten Museum dedicato alla città sotterranea delle spie e di chi cercava la libertà all’Ovest, c’è l’Allierten Museum a Zehlenorf e quello del Checkpoint Charlie in Friedrickstrasse. Da quest’anno, in Leipziger Platz, c’è anche l’unico museo che mancava, lo Spymuseum, sul quale è stata incisa una frase attribuita a Napoleone: «Una spia al posto giusto vale più di 20 mila soldati sul campo». Oggi come allora, il posto giusto è Berlino.