Carlo Turchetti, Corriere della Sera 11/7/2014, 11 luglio 2014
BANCO ESPIRITO SANTO, UN BUCO DA 7 MILIARDI FA TREMARE L’ISTITUTO PORTOGHESE
MILANO — Un buco da 7 miliardi di debiti nello scrigno di famiglia in Lussemburgo. Che si è riverberato come un’onda d’urto sul Banco Espirito Santo (Bes) sospeso ieri alla Borsa di Lisbona dopo un crollo del 17%. E ha investito i titoli decennali del paese (rendimenti saliti al 3,9%) propagando l’allarme a tutti i paesi periferici dell’eurozona. Davanti a Ricardo Espirito Santo Salgado, patriarca della più potente dinastia di banchieri portoghesi, si sta materializzando lo spettro della nazionalizzazione seguita alla «rivoluzione dei garofani» del 1975. Quando il Banco finì al governo di Lisbona e iniziò la diaspora a Londra, Losanna e Buenos Aires degli eredi di un altro Ricardo, il nonno dell’attuale capo della famiglia, che aveva moltiplicato le fortune del clan in patria e nelle colonie di Angola e Mozambico con la protezione del dittatore Antonio Salazar. L’istituto, il primo per capitalizzazione in Borsa, un totale attivo di 93 miliardi pari a metà del Pil portoghese, è ormai commissariato dalla banca centrale di Lisbona. Ricardo Salgado, che si era ricomprato la banca di famiglia nel 1992 con l’appoggio del Credit Agricole, si è dimesso il mese scorso. E ha dovuto accettare il nome del candidato successore voluto dalle autorità monetarie, Vitor Bento, già a capo del dipartimento del debito pubblico. Il Portogallo, uno dei cinque paesi dell’eurozona che era ricorso agli aiuti di Fmi e Ue nella bufera del 2011, può contare ancora su metà dei 12 miliardi di plafond. Il Banco non ne aveva avuto bisogno, ma adesso il premier Pedro Coehlo potrebbe arrendersi alla necessità di evitare ripercussioni sistemiche nel paese, seppure riluttante a mettere un dissesto di una potente famiglia a carico dei contribuenti.
L’effetto domino è partito dalla Esi di Lussemburgo, incapace di ripagare carta commerciale e debiti a breve e finita sotto inchiesta nel Granducato. A ruota sono caduti i bond della Espirito Santo Financial Group (Esfp), la cui esposizione con la controllante è esplosa in sei mesi a 2,35 miliardi. Anche il Banco ha dovuto ammettere un’esposizione di 980 milioni con le entità di famiglia, nonostante non ve ne fosse traccia nel prospetto dell’aumento di capitale di 1,2 miliardi concluso appena un mese fa con la diluizione della quota Esfp al 25% e del Credit agricole al 14,6%. Ricardo Salgado non ha deposto subito le armi, cercando di scongiurare il default di una dinastia che conta vaste relazioni e contatti cosmopoliti. Qualche esempio? Quelli del passato tra il banchiere e Giovanni Agnelli che portò l’Exor (ex-Ifint) a detenere fino all’8,2% della Esi di Lussemburgo a metà degli anni 90. Ed erano stati gli Espirito Santo ad aprire le porte di Lisbona alle Generali. Non solo. Ancora un anno fa il Banco lusitano era tra i candidati a rilevare la Bsi dalle assicurazioni di Trieste. Il capofamiglia ha provato a proporre ai creditori un piano per trasformare i titoli di debito per l’85% in capitale allungando le scadenze sul restante 15%. E a lasciare la sua carica di chief executive della banca di Lisbona a un fedelissimo, il capo della finanza Amilcar Morais Pires. Ma la banca centrale, ancora titolare della vigilanza fino a novembre, quando la competenza passerà alla Bce, si è messa di traverso. Ha preteso un netto taglio tra l’istituto e la famiglia, che per la prima volta non sarà nel board. L’epoca degli Espirito Santo, i banchieri diventati potenti all’ombra di Salazar, finirà con l’assemblea del 31 luglio che nominerà nuovo ceo Vitor Bento.