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 2014  luglio 11 Venerdì calendario

INZAGHI PARTE CON TRE PUNTI VANTAGGIO E UN MODELLO

La cosa più sorprendente di Filippo Inzaghi, chiusa la carriera da giocatore, è stata la metamorfosi. Prima era un centravanti che pensava soltanto a se stesso, al gol e ai suoi record: non vedeva e non concepiva altro. Di lui nessuno avrebbe detto che sarebbe diventato un allenatore, uno che per contratto deve mettere il gruppo al di sopra di ogni cosa. Invece Pippo ha stupito tutti: si è cambiato d’abito con la velocità e l’intelligenza di chi «annusa» la direzione del vento, è sceso in campo in un nuovo ruolo, sapendo che avrebbe potuto bruciarsi in fretta, e adesso si accomoda su una delle panchine più calde d’Italia. Se sia l’uomo giusto al posto giusto, lo dirà il tempo (non solo i risultati immediati). Quella del Milan è una scommessa: il rischio c’è, come ogni volta che ci si siede al tavolo da poker. Pippo lo sa, e questo è un vantaggio non da poco rispetto al suo predecessore Seedorf, sbarcato nel pianeta Milan con l’obiettivo «lunare» di rivoltarlo come un calzino e convinto che nulla avrebbe fermato la sua rivoluzione. Si è visto com’è andata a finire.
1. AMBIENTE «AMICO»
Ecco il primo punto a favore di Inzaghi: conosce l’ambiente come le sue tasche. Non esistono segreti per lui, né nello spogliatoio né negli uffici della società. Ha buoni rapporti con Berlusconi, con Galliani e con Lady Barbara: di sicuro non è uno che divide. Tutt’altro. E’ proprio attorno alla figura (non figurina, sia ben chiaro) di Pippo che si vuole costruire non solo il futuro ma anche il presente. Direte: ma al Milan serve un allenatore, Inzaghi ne ha le qualità? Per quello che si è visto nei due anni di esperienza con i giovani la risposta non può che essere positiva: il Milan dei ragazzi ha giocato bene, e questo è un punto di partenza importante. Certo, guidare una banda di ragazzi è un conto, ben diverso il discorso quando si tratta di Serie A. Una cosa è sicura, anche se Inzaghi non la dirà nemmeno sotto tortura: il modello di tecnico che ha in testa è Carlo Ancelotti. Non sarà un dittatore, insomma, ma uno che sceglierà sempre la strada del dialogo. E, soprattutto, punterà su quello che lui considera un valore fondamentale: il gruppo, possibilmente italiano.
2. gestione del gruppo
Certo, vien da sorridere se si pensa che Pippo, del gruppo storico del Milan di Ancelotti, faceva sì parte, ma a modo suo. Non era il perno, seguiva l’onda. Qualche volta anche mugugnando perché gli toccava stare in panchina. E quando gli capitava, tutti lo sapevano e ne sorridevano, succedeva una cosa curiosa intorno al minuto 20 del secondo tempo: Pippo si alzava, il pubblico applaudiva e lui iniziava il riscaldamento. Solo che nessuno, tanto meno Ancelotti, gliel’aveva ordinato. Faceva di testa sua. Poi, se ce n’era bisogno, Carletto lo buttava dentro e tutti erano felici e contenti. Ecco, Inzaghi dovrà imparare a gestire anche queste situazioni, ma conoscendo a memoria le regole della vita di spogliatoio non sarà un problema. Quando sentirà un suo giocatore lamentarsi per una sostituzione o per una panchina, dovrà soltanto ricordarsi che almeno una volta è capitato pure a lui. E se il suo centravanti accenderà il telefonino prima ancora di andare sotto la doccia dopo la partita, non lo rimproveri: Pippo faceva la stessa cosa. Non twittava, perché non c’era Twitter, ma amava spedire sms a chi doveva compilare le pagelle: che non si dimenticassero che lui, magari, aveva segnato una doppietta o fatto un assist… Inzaghi era un martello. E questa dote, che è nel suo dna, adesso se la porta in panchina. Pippo sa quando è il momento di strigliare uno che batte la fiacca o quando è il caso di coccolare un altro che non ne azzecca una: la psicologia del calciatore è abbastanza elementare, non ci vuole mica Freud per capirla.
3. la maglia, un valore
C’è un ultimo aspetto da tenere in considerazione. Inzaghi vuol dire «senso di appartenenza», qualità che nell’ultimo al Milan è mancato. Che cosa significa? Semplice, Pippo trasmette emozioni. Gli è accaduto ovunque da giocatore: era un idolo degli juventini, ha impiegato due partite a diventarlo per quelli della Curva Sud di San Siro. Perché la gente, di lui, ha sempre apprezzato quello che si definisce «attaccamento alla maglia». Il compito più difficile sarà trasferire questi valori ai giocatori di oggi: Pippo era uno della Generazione Subbuteo, tutto casa e campetto della parrocchia. Ora siamo alla Generazione Internet: tatuaggi, Facebook e relazioni pubbliche curate da specialisti del settore. Non sarà facile, ma volete che l’uomo di Atene, quello che nel 2007 ha segnato gol in tutte le finali, si spaventi di fronte a queste asperità?